ADi, luglio 2020
Abbiamo posto per primi la questione del rilancio della medicina scolastica, che, con soddisfazione, abbiamo visto ripresa da più parti.
Abbiamo già dedicato 2 articoli a questo tema e continueremo con altri approfondimenti, perché è importante capire da un lato il grave errore compiuto nell’averla abbandonata, pur non essendo stata eliminata dalla legge (Legge 23 Dicembre 1978, n. 833, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale), e dall’altro per dimostrarne la grande attualità ed importanza.
Nel Piano scuola 2020-2021 pubblicato il 26 Giugno scorso c’è un richiamo importante, si afferma infatti la necessità di “Raccordi tra gli Istituti scolastici e i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali, anche tramite la previsione di uno specifico referente medico per le attività scolastiche”. Purtroppo tale impegno non risulta tra gli aspetti operativi del “Piano Scuola”, nonostante la sua importanza!
I due articoli sulla medicina scolastica sono a cura del Prof. Antonio Faggioli, già Ufficiale Sanitario del Comune di Bologna, successivamente Direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL di Bologna e Libero Docente di Igiene all’Università degli Studi di Bologna, che ha avuto conoscenza diretta di tale servizio.
La coda dell’anno scolastico 2019-2020 è stata tagliata dalla epidemia da Covid-19, lasciando aperta la discussione su come metterne in sicurezza il riavvio.
Il 26 giugno scorso sono state pubblicate le linee guida per il ritorno a scuola nel prossimo settembre (Piano scuola 2020-2021 – 26 Giugno 2020). Di quel testo qui interessa evidenziare un’affermazione importante: i “Raccordi tra gli Istituti scolastici e i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali, anche tramite la previsione di uno specifico referente medico per le attività scolastiche”. Purtroppo tale impegno non risulta tra gli aspetti operativi del “Piano Scuola”, nonostante la sua importanza che è opportuno richiamare facendo riferimento all’ex “Servizio di Medicina Scolastica”.
Dai primi anni del ‘900 fu posta particolare attenzione alla scuola soprattutto a partire dagli anni ’30, tanto che lo Stato assunse il compito di assolvere alla promozione dello sviluppo della persona finalizzato allo sviluppo fisico, economico, sociale e culturale.
La “medicina scolastica” gestita dai Comunicontribuì decisamente al conseguimento di tale obiettivo, collaborando con gli educatori a individuare, tra gli altri, i fattori causali delle patologie e anomalie dello sviluppo nell’età evolutiva e delle malattie infettive.
Già allora emersero aspetti critici sul piano dell’organizzazione delle scuole relativamente all’orario scolastico, alla refezione scolastica, ai requisiti strutturali e funzionali degli ambienti. Tali problemi furono affrontati gradualmente con la collaborazione tra genitori, insegnanti e medici scolastici. Si ebbe una legislazione medico-scolastica che si perfezionò gradualmente nel tempo, soprattutto assumendo gli obiettivi della prevenzione e della diagnosi precoce delle malattie perseguiti fin dal periodo 1901-1950.
Successivamente ebbe avvio una nuova fase con precise norme sanitarie, proposte dagli Ufficiali Sanitari Comunali e gestite ancora dai Comuni.
Fondamentali a tali fini risultarono due decreti: il Decreto Presidente della Repubblica 11 Febbraio 1961, n. 264 e il DPR 22 Dicembre 1967, n. 1518. Tali norme relative alla medicina scolastica sono tutt’ora formalmente vigenti, in quanto previste all’art. 14 dalla Legge 23 Dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale). Purtroppo tali funzioni in materia di prevenzione, attribuite alle Unità Sanitarie Locali dal 1978, sono state da questeinspiegabilmente disattivate.
Con il DPR 264/1961 fu richiamata la tutela della salute della popolazione scolastica, la vigilanza sull’igiene delle scuole e gli oggetti della vigilanza.
Con tali funzioni si provvedeva tra l’altro:
Erano inoltre previsti servizi medico-specialistici per:
Ma è soprattutto con il D.P.R. n.1518/1967 che furono precisate le prestazioni sanitarie di medicina preventiva e d’urgenza nell’ambito dei servizi di medicina scolastica, avvalendosi di ambulatori ricavati di norma nello stesso edificio scolastico.
Era compito del medico scolastico provvedere a:
Era inoltre compito del medico scolastico:
I medici scolastici avevano anche il compito della compilazione dei dati statistici e di inviare mensilmente all’Ufficiale Sanitario una relazione sull’attività svolta.
C’erano poi specifiche norme per la difesa dalle malattie infettive batteriche e virali, in particolare:
Se i Servizi di Medicina Scolastica fossero rimasti attivi dopo il 1978, le loro funzioni avrebbero permesso di affrontare, tra gli altri, i nuovi problemi nelle scuole indotti dall’epidemia da Covid-19, assicurando:
E’ di tutta evidenza l’importanza che tali Servizi avrebbero se operanti direttamente negli edifici scolastici a stretto contatto con genitori e insegnanti, non solo per quanto riguarda la prevenzione degli effetti nocivi da Covid-19 e da altre infezioni virali e batteriche, ma anche ai fini della prevenzione e diagnosi precoce delle più frequenti malattie proprie dell’età scolastica.
Si auspica pertanto che il Ministero della Salute intervenga nei riguardi delle Regioni, che inspiegabilmente hanno soppresso tali servizi, affinché al più presto queste si adeguino a quanto previsto dall’art. 14 della Legge 23 dicembre 1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale).
Ai sensi della Legge 23 dicembre 1978, n. 833, il Servizio Sanitario Nazionale avrebbe dovuto mantenere in funzione i servizi di medicina scolastica, previsti dal Titolo III del DPR 11 febbraio 1961, n. 264 e successivamente regolamentati con il DPR 22 dicembre 1967, n. 1518.
Le Regioni, come noto, non hanno ottemperato alle suddette disposizioni normative, creando disfunzioni e rischi per la salute della popolazione scolastica.
Il 25 Novembre 2006 fu promossa “la giornata della sicurezza nelle scuole”, visto che il 72% di un campione di 271 scuole in 12 Regioni era privo del certificato comunale di agibilità previsto dal Testo Unico dell’Edilizia.
Tale carenza fu allora attribuita a due cause:
Con la legge finanziaria del 2007 furono stanziati per l’edilizia scolastica 250 milioni in tre anni, con proroga fino al 2009 per la messa a norma degli edifici alla condizione che Enti locali e Regioni si attivassero ciascuno per un terzo delle spese. Ovviamente tali impegni avrebbero dovuto essere realizzati previo censimento degli edifici scolastici non a norma, onde procedere alla programmazione dei lavori di adeguamento con la previsione dei conseguenti oneri.
Il suddetto censimento avrebbe inoltre dovuto tener conto, cosa che non avvenne, delle norme sui requisiti di sicurezza e di igiene, e più esattamente: del Decreto n. 626/1994 per i requisiti generali di sicurezza e del Decreto del Ministero Lavori Pubblici del 1975 per i requisiti di igiene negli edifici scolastici.
Sul piano storico l’inosservanza di tali disposizioni normative da parte degli Enti locali, rappresentò un arretramento rispetto al ruolo fondamentale che tali Enti avevano svolto in passato, assicurando la prevenzione dei rischi negli edifici scolastici.
Il Comune di Bologna, con il Sindaco Zanardi (1914-1920), curò l’igiene e sicurezza non solo delle abitazioni ma anche delle scuole. I Sindaci Fanti (1966-1970) e Zangheri (1970-1983) promossero studi e sperimentazioni di rilevanza nazionale sui requisiti delle aule scolastiche. Secondo tali studi la sicurezza era mirata non solo alla incolumità degli occupanti, ma anche alla prevenzione delle patologie proprie dello sviluppo psicosomatico e sensoriale dell’età evolutiva.
Si definirono pertanto i requisiti acustici e di illuminazione sia naturale che artificiale delle aule, i colori delle superfici interne delle pareti (il giallo e il rosso si dimostrarono i più stimolanti della retina per un lavoro scolastico visivo di massimo rendimento con la minor fatica). Tali indagini hanno avuto anche il merito di dimostrare la importanza dei rapporti tra i requisiti di sicurezza e quelli igienico-sanitari.
Lo sviluppo della cultura della prevenzione mise già allora i cittadini in condizione di chiedere di essere informati sui rischi e di partecipare alla formazione delle decisioni degli organi di governo per prevenirli.
Secondo le norme già citate (DPR. n. 264/1961 e DPR. n. 1518/1967), i Comuni erano tenuti ad approntare i servizi di medicina scolastica in tutte le scuole di ogni ordine e grado ed estenderli agli istituti educativo-assistenziali e medico-psico-pedagogici.
Da indagini risalenti al 2006 risultarono frequenti i disagi dell’età evolutiva: evasione e dispersione scolastica, disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, disagio psichico e sociale, infortuni domestici nei più piccoli e stradali negli adolescenti; non erano rari negli adolescenti anche depressione, anoressia, suicidio, tossico e alcool dipendenza.
Si ritenne necessario un aggiornamento degli obiettivi da conseguire, delle strategie e delle azioni riprendendo e aggiornando le norme vigenti negli anni ’60 relative ai servizi di Medicina Scolastica, abbandonati (ma non formalmente soppressi) nel 1978. Si osservò che se le istituzioni educative non erano la sede esclusiva per evitare disagi e rischi sanitari, queste avevano comunque un ruolo fondamentale che ne faceva il naturale punto di partenza dell’assistenza sanitaria e sociale. Tutto questo non avrebbe richiesto un nuovo servizio medico scolastico, ritenendo sufficiente riattivare quello esistente fino al 1978 aggiornandone le norme, tenendo conto dei nuovi bisogni dell’età evolutiva e facendo tesoro della precedente esperienza maturata dai Comuni.
Lo storico Servizio Medico Scolastico gestito dai Comuni, ma ignorato dalle AUSL benché previsto dall’art. 14 della Legge n. 833/1978, avrebbe potuto essere ripreso e aggiornato per affrontare i nuovi bisogni dell’età evolutiva.
Quando nel 1921 furono definite le prime norme della Medicina Scolastica, il principale problema che si presentò fu quello delle malattie infettive. Oggi la epidemiologia di tali malattie, come dimostrato dalla epidemia da Covid-19, ha assunto nuove dimensioni qualitative e quantitative per cui la loro prevenzione richiede strategie diverse da quelle del passato; basti ricordare i numerosi obblighi per la frequenza scolastica che sono stati abrogati. Si rende pertanto necessario aggiornare la Medicina Scolastica soprattutto per quanto riguarda competenze diverse dal passato: spetta allo Stato la definizione dei principi generali e la indicazione degli obiettivi prioritari; la riorganizzazione dei Servizi compete alle Regioni, le quali sarebbe opportuno tenessero presenti le esemplari esperienze maturate dai Comuni prima del SSN. Una storica esperienza di integrazione sanitaria e sociale fu quella di vari Comuni, tra cui quella di Bologna con il Sindaco Zanardi nel secondo decennio del 1900: insediamento di medici assunti dai Comuni nelle scuole con il mandato di individuare gli alunni con carenze alimentari e istituzione della refezione scolastica, definizione del limite numerico di alunni nelle classi elementari e medie ai fini non solo didattici ma anche igienico-sanitari.
Nel secondo dopoguerra i maggiori Comuni si impegnarono in studi condotti dai loro medici e architetti per assicurare il comfort ambientale negli edifici scolastici: il benessere acustico e visivo, furono fissate le misure dei banchi scolastici per le diverse età e definiti i caratteri tipografici dei testi scolastici per evitare l’affaticamento visivo.
Tra il 1950 e il 1970 i Comuni svilupparono nelle scuole l’educazione alla salute e agli stili di vita favorevoli alla salute, l’assistenza psico-pedagogica, le visite periodiche per la prevenzione e la diagnosi precoce delle turbe dello sviluppo psico-somatico, delle funzioni visive, dell’udito e del linguaggio, delle malattie cardioreumatiche, otorinoaringoiatriche e dentarie, attivando le rispettive funzioni riabilitative. Determinante fu l’ampia diffusione delle vaccinazioni nelle scuole per la prevenzione delle malattie infettive diffusive batteriche e virali.
In quegli anni si giunse a formulare proposte per il “calendario e l’orario scolastico”, per la distribuzione giornaliera delle materie di insegnamento al fine di ridurre l’affaticamento mentale.
Purtroppo allora, ma ancora oggi, si è posta una insufficiente attenzione al tema dell’orario scolastico e al numero e distribuzione delle discipline. La concezione del “tempo-scuola” e dell’organizzazione didattica non tengono conto dei ritmi e modalità di apprendimento, oltre alle esigenze di vita degli studenti. Si trascura il loro naturale bisogno di “pause” (i nostri cosi detti intervalli sono tra i più brevi in Europa), con la conseguenza che gli alunni reagiscono con autonome strategie di difesa, dal distacco dell’attenzione all’assenteismo.
Disagio scolastico, disturbi dell’apprendimento, la cosi detta “fatica di vivere” manifestata da svariati alunni vanno affrontati in termini preventivi, con adeguata integrazione tra servizi scolastici sanitari e sociali.
Con queste prospettive è necessario che la Medicina Scolastica contribuisca a ripensare la scuola con la più ampia collaborazione delle famiglie e del personale insegnante.
Nota sull’autore
antoniofaggioli33@gmail.com
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Per il rilancio della medicina scolastica ultima modifica: 2020-08-01T08:15:35+02:00 da
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