«Per integrare gli studenti immigrati non servono più prof, ma i migliori»

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di Gianna Fregonara,  Il Corriere della Sera  18.12.2015.  

Andreas Schleicher, direttore Education all’Ocse: «In Cina per fare carriera devi prima andare a lavorare in una scuola disagiata. In Italia ci sono molti studenti che vengono da famiglie che hanno studiato: non sprecate questa risorsa, avete bisogno di talenti»

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L’ondata di studenti stranieri che negli ultimi dieci anni è entrata nelle scuole italiane ed europee non ha abbassato il livello dei risultati scolastici generali dei Paesi che li hanno accolti. E’ vero che per gli stranieri a scuola non sempre le cose funzionano e che «molto c’è ancora da fare» ma «il costo dell’inerzia che porta disoccupazione e povertà in futuro, è troppo grande rispetto al costo di provvedimenti per adeguare i nostri sistemi scolastici. Lo sappiamo bene qui a Parigi: se non funziona l’integrazione della prima generazione poi i costi sociali sono insopportabili». A parlare è Andreas Schleicher, direttore di Education & skills all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, sul cui tavolo cominciano ad arrivare i risultati dei test Pisa 2015, che monitorano la situazione dell’educazione in più di ottanta Paesi.

Avete appena pubblicato lo studio «Gli immigrati a scuola»: uno dei dati più interessanti è che per i risultati degli stranieri conta di più il sistema scolastico del Paese in cui arrivano che quello da cui provengono. Com’è la situazione in Italia, dove gli studenti stranieri sono raddoppiati?
«Studenti con lo stesso background culturale possono avere risultati molto diversi a seconda del sistema scolastico del Paese dove arrivano: gli studenti di lingua araba in Olanda sono in genere molto più bravi che in altri Paesi. Per quanto riguarda l’Italia: non ha una politica di immigrazione e l’integrazione scolastica è un’esperienza nuova. E’ stata fatta negli anni scorsi una grande riforma sui bisogni speciali, mettendo tutti insieme nella stessa classe. Purtroppo le politiche di supporto sono state del tutto inadeguate. E così invece di fare l’immersione, integrando con un aiuto i ragazzi, li si lascia a dimenarsi per non “affogare”. Eppure in Italia ci sono molti studenti stranieri che vengono da famiglie in cui i genitori hanno studiato. C’è una quantità di talenti che entra nel Paese portando in prospettiva più risorse di quante se ne debbano investire per integrarli».

In genere i sistemi anglosassoni funzionano meglio in termini di integrazione.
«Questi Paesi hanno politiche di immigrazione oltre che di integrazione molto mirate: scelgono con molta attenzione chi serve alla loro società. Penso, per esempio, al Canada: vieni dal Pakistan? Bene, devi imparare l’inglese o il francese, ti aiutiamo a imparare le nostre norme sociali ma nel nostro curriculum potrai trovare anche molte cose che riguardano la tua cultura e il tuo Paese, così nessuno si sente ignorato. Al contrario della Francia dove ogni persona è uguale per nascita e uguale vuol dire che ci si aspetta che si comporti come tutti gli altri, che impari la storia francese, la lingua francese e ogni cosa che sia francese. E questo è mortale per l’integrazione».

In Italia gli studenti che hanno in classe dei ragazzi stranieri sono meno positivi sull’immigrazione di quelli che hanno classi omogenee. Come si spiega questo fenomeno?
«C’è un’alta concentrazione di immigrati in poche scuole. Se hai 20 per cento di immigrati è un conto ma se gli stranieri sono il 40 per cento è veramente difficile. L’impatto negativo di questa divisione netta tra studenti è uno dei più alti al mondo. La prima causa è la qualità delle risorse: le scuole con tanti immigrati non attraggono né i migliori professori, né i presidi più motivati».

Ci vorrebbero degli incentivi economici, stipendi più alti per chi insegna in aree più difficili?
«Non solo. Guardiamo alla Cina: se un vicepreside di una scuola di élite di Shanghai vuole essere promosso prima deve passare due o tre anni in una scuola disagiata. L’idea è: se vuoi fare carriera dimostrami che sei veramente bravo. Così i migliori prof insegnano per un periodo nelle scuole più faticose. Diventa una questione di prestigio. Ma qui ci vuole una politica pubblica, un’idea di scuola. La Germania è un altro caso virtuoso. Non è riuscita a ridurre la divisione tra immigrati e tedeschi ma l’effetto negativo sì. In passato gli studenti stranieri venivano scoraggiati, anche se bravi o dotati, dagli insegnanti in modo più o meno consapevole. Da quando sono stati inseriti dei criteri oggettivi nei test e diagnosi precoci dei problemi linguistici ci sono più possibilità anche per gli stranieri».

Cosa suggerisce per l’Italia?
«Le ultime misure aumentano il numero di prof nelle zone “difficili”. L’Italia ha un sistema molto costoso quindi non è una questione di aggiungere risorse ma di distribuirle meglio. Anche la Francia ha investito molte risorse ma senza risultati. Aumentare il numero di insegnanti nelle zone difficili non ha fatto la differenza, anzi la situazione è peggiorata. La questione è la qualità delle risorse: come usare i prof migliori nelle zone difficili. Ci sono invece scuole che scoraggiano gli studenti stranieri. E’ un errore pensare che l’immigrazione sia automaticamente un problema. Molti studenti stranieri in Italia hanno genitori che hanno studiato e tra gli studenti con i risultati migliori ci sono anche tanti immigrati. Ma quello che il governo dovrebbe fare è rendere più interessante per le scuole accogliere gli studenti con bisogni speciali come quelli linguistici. Altrimenti tenderanno a selezionare, in modo più o meno aperto, gli studenti».

Problemi linguistici, situazione socio-economica precaria, gli studenti stranieri scontano anche molti problemi sociali a scuola.
«Bisogna arrivare a coinvolgere i genitori, sono spesso loro che motivano i figli. Difficile? La Cina è riuscita a gestire milioni di studenti che venivano addirittura da famiglie analfabete, chiedendo ai professori di andare loro a cercare i genitori, di andarli a trovare a casa per spiegare che cosa i loro figli facevano a scuola. Gli insegnanti fanno regolarmente il giro delle famiglie».

«Per integrare gli studenti immigrati non servono più prof, ma i migliori» ultima modifica: 2015-12-19T05:41:10+01:00 da
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