Perché la scuola non riesce più a formare le competenze «di base»?

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Astolfo sulla luna, 26.6.2016

Alcuni giorni fa un docente universitario di matematica [1] ha richiamato l’attenzione sulle enormi “diseguaglianze di conoscenza” che sempre più osserva fra i suoi studenti: imputa per lo più tali “spaventosi divari .. che certamente produrranno grandi diseguaglianze nelle loro vite” a “prosaiche vicende istituzionali (e spesso familiari) di incuria e superficialità” e addita come responsabili di ciò, nell’ordine: “genitori, insegnanti, politici e, naturalmente, studenti”.

Nel ragionamento dell’accademico sono impliciti alcuni presupposti che cercherò di evidenziare: il primo riguarda il ruolo selettivo del sistema d’istruzione. O si ritiene che la scuola – come sembra pensare l’autore dell’articolo – debba fornire a tutti quelle che il giornalista che ha titolato l’articolo definisce genericamente competenze “di base”, oppure si decide che non tutti possederanno “capacità di manipolazione di simboli astratti”. In effetti, nonostante l’introduzione di programmi di analisi matematica in pressoché tutti gli indirizzi scolastici, è probabile che uno studente di liceo linguistico o di istituto turistico non sia molto incline a studiare quella materia. Facile allora che – nel malaugurato caso scelga la facoltà ove insegna il professore (immagino scienze economiche) – si imbatta in difficoltà pressoché insormontabili. Evidentemente il nostro sfortunato studente non ha mai incontrato nessuno che lo abbia caldamente sconsigliato di scegliere questa facoltà, e ha forse superato i test d’ingresso copiando allegramente i quesiti logico-matematici da un amico più bravo. Ecco un primo problema di mancata selezione.

Se poi un altro studente non sa eseguire una sottrazione elementare (nel campo dei numeri interi relativi) oppure non sa addizionare numeri con più di una cifra senza ricorrere al metodo che usava l’umanità quando cacciava e pescava, evidentemente non si è mai esercitato a fare tali operazioni manualmente prima di incontrare il professore in questione. Un’altra ipotesi riguardo a quest’ultimo studente (che come sanno i colleghi è frequentissimo anche nell’ordine di scuole secondarie) è che sia affetto da discalculia. Normalmente tale Disturbo Specifico dell’Apprendimento viene esplicitamente certificato, ma non mi risulta che tale certificazione impedisca allo studente di iscriversi ad una facoltà che prevede l’insegnamento delle matematiche. Tuttavia non è raro il caso che tale disturbo passi inosservato e lo studente raggiunga più o meno tranquillamente il diploma. In altre parole questo secondo problema di mancata selezione appare veramente un rompicapo: in effetti la scuola, nel garantire a tutti il “successo formativo” tanto caro al nostro accademico, ha finito per mettere in secondo piano l’obiettivo della trasmissione delle conoscenze.

Tuttavia il problema della selezione nella scuola, che il prof. sembra sottovalutare, è strettamente connesso ad un altro presupposto implicito nel suo ragionamento: il sistema d’istruzione deve garantire la mobilità sociale – come sembra pensare il nostro – oppure ha ormai un ruolo ben diverso nelle società del capitalismo informazionale? Guardando ad esempio all’amata Inghilterra, che proprio in questi giorni prende il largo dal nostro continente, le disparità nel sistema scolastico sono enormi e ciò non ha mai suscitato più di tanto scandalo. Ciò d’altronde ha permesso un sistema altamente selettivo che ha sempre prodotto eccellenti scienziati, per quanto in numero ridotto, a prescindere da qualsiasi ipotesi di mobilità sociale, parzialmente favorita da un limitato sistema di borse di studio gestite però sempre nell’ottica della selezione dei migliori. Si tratta ovviamente di scelte politiche, ben diverse come sappiamo da quelle intraprese in ognuno dei paesi del continente europeo. Il fatto è che l’ultima forma di capitalismo è globalizzata, e ciò significa che in tutti i paesi del mondo chi è in grado di generare informazione si arricchisce perché le informazioni hanno un prezzo sul mercato della cultura: chi non ha una buona “dotazione di capitale iniziale” tende a rimanere escluso dal circuito informazionale, con buona pace della mobilità sociale (come d’altronde sembra ammettere il prof. quando parla della “famiglia potente alle spalle”).

Un terzo ed ultimo presupposto implicito nel ragionamento del nostro è il seguente: i docenti delle scuole secondarie (e anche primarie dato che “l’organizzazione  mentale di alcuni studenti è pari a quella di un fanciullo di 6-7 anni”) non hanno studiato all’università, ma si sono formati non si sa bene come. Nell’elenco dei responsabili, che è dato solo per inciso, visto che il prof. non è interessato a tale questione, la categoria degli accademici infatti non appare. Una scelta? Allora evidentemente in nostro ritiene che lo sfascio della scuola “media” non sia affar loro; una dimenticanza? Magari il nostro prof. di matematiche superiori non si è mai occupato di formazione degli aspiranti all’insegnamento, eppure dovrebbe sapere come sono state gestite dal sistema universitario italiano SSIS, TFA, PAS e altre iniziative di didattica disciplinare nelle quali la preoccupazione maggiore degli atenei consiste nel decidere come spartirsi la torta dei finanziamenti ministeriali. Salvo ovviamente benemerite eccezioni.

 

25 giu. 16                                                                                           Astolfo sulla Luna

[1] Luca Ricolfi, Il Sole 24 Ore 14.6.2016

 

Perché la scuola non riesce più a formare le competenze «di base»? ultima modifica: 2016-06-26T15:36:20+02:00 da
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