Perché l’Italia non deve avere paura di valutare

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– L’estate è stagione di esami e di test, e quest’anno anche di concorsi. Il calendario più fitto del solito ha provocato polemiche e dibattiti particolarmente accesi: prima le tradizionali proteste sulle prove Invalsi, poi i “troppi” (o per alcuni “troppo pochi”) 100 e lode all’esame di in alcune regioni, il concorso “troppo severo” o invece “giusto” che ha decimato gli aspiranti docenti delle scuole, infine i test di ammissione ai corsi di laurea a numero chiuso, Medicina in testa, quest’anno assai generosi nel distribuire idoneità, se non posti.

Tutti questi fenomeni sono accomunati da un tema trasversale, quello dell’affidabilità e prevedibilità della valutazione. Gli esami di maturità sono per certi aspetti il caso più eclatante. Possibile che l’assegnazione di un titolo di studio e di un punteggio che hanno conseguenze importanti per la vita degli studenti sia tanto aleatoria da suscitare ogni anno titoli a molte colonne? Poco importa se in alcune regioni la proporzione di esami perfetti balza all’occhio, o se ci si dovrebbe invece preoccupare dell’eccessiva parsimonia delle commissioni in altre zone del paese. Quel che è certo che nessuno se la sente di giurare sull’affidabilità e comparabilità di quei voti. Sarebbe d’altronde impossibile. Le commissioni sono di fatto interne, i criteri di valutazione delle prove non sono prefissati, il terzo scritto è assemblato scuola per scuola, l’orale è rimesso in tutto e per tutto ai docenti in loco. Nessun esame può eliminare varianze e distorsioni, ma quando si eregge l’aleatorietà a sistema si finisce per svalutare i risultati a priori, specie poi poi i test Invalsi e Pisa dipingono un quadro spesso diverso. Non stupisce che la Scuola Normale e altre istituzioni a numero chiuso, per esempio, non prendano neppure in considerazione il voto di maturità ai fini del concorso d’ingresso, preferendo puntare tutto su prove specifiche.

Per converso i test standardizzati come quelli Invalsi e quelli per l’ammissione a Medicina continuano a godere di cattiva stampa. I primi sono ogni anno criticati quando non boicottati, perché non offrono una valutazione “a tutto tondo” dello studente. I test di Medicina sono stati oggetto di contestazioni furiose il cui obiettivo era di fatto il numero chiuso in sé, ma che si concentravano soprattutto sulla presunta ingiustizia di affidarsi ad una prova di breve durata, peraltro, sia detto, ripetibile. I test standardizzati, e soprattutto anonimi, non sono certo una panacea e sui loro limiti esiste un’ampia letteratura, ma è bene non sottovalutarne i pregi. Nascono non a caso come strumento “asettico” di reazione al predominio del privilegio di censo, sia quando la Gran Bretagna amplia attraverso gli esami l’accesso alla burocrazia statale, sia quando le università del Nord America iniziano a utilizzarli, a partire dagli anni Trenta, per evitare che le borse di studio finiscano esclusivamente ai soliti noti.

Sarebbe quindi utile se alla polemica stagionale, e spesso ideologica, si sostituisse una riflessione di sistema. Il problema nasce già all’università, dove la prassi ancora troppo diffusa dell’esame orale, una performance effimera in cui la comparabilità tra risultati si avvicina a zero, fa sí che risultino inconfrontabili i voti non solo tra sede e sede, ma tra disciplina e disciplina, tra docenti della stessa disciplina nella stessa sede, e addirittura tra diverse sessioni dello stesso docente. Altrettanto importante è la continuità nel tempo del tipo e degli standard di preparazione necessari. Si pensi per esempio ai problemi suscitati appunto dal concorso per la scuola, del tutto diverso dall’edizione 2012, oppure all’improvvisa impennata degli idonei 2016 al test di Medicina, quasi il 94% contro meno della metà l’anno scorso. Una differenza così marcata si spiega solo con una maggiore e imprevista facilità della prova, non più affidata a Cambridge Assessment. L’alternativa a questo quadro confuso non sono sempre e soltanto i test a risposta multipla, che comunque non vanno demonizzati, ma esami standardizzati anonimi, corredati di chiare linee guida per la correzione e la valutazione, e ragionevolmente costanti nel tempo, e di una cultura della valutazione davvero affidabile. Nulla di perfetto, ma neppure nulla di impossibile, e certamente un passo avanti rispetto a un sistema in cui oggi molti fanno fatica a credere.

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Perché l’Italia non deve avere paura di valutare ultima modifica: 2016-10-03T06:21:42+02:00 da
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