di Lino Patruno, La Gazzetta del Mezzogiorno, 3.1.2020
– Per questo siamo il Paese meno istruito d’Europa. Per questo non funziona l’ascensore sociale che porta su chi è indietro e tanti giovani vanno via.
Datemi una scuola e risolleverò l’Italia. Dimmi che scuola hai e ti dirò che futuro avrai. Invece da noi la scuola è trattata come una pezzente. Più come una spesa molesta che come investimento. Più all’ultimo posto che al primo. E gli eroici insegnanti peggio di un operatore ecologico. Per questo siamo il Paese meno istruito d’Europa. Per questo non funziona l’ascensore sociale che porta su chi è indietro e tanti giovani vanno via. Per questo non cresce neanche l’economia. Specie al Sud, sempre considerato un fastidio in più, e sempre il più ignorato di tutti. E se un ministro si dimette per tutto questo, università compresa, invece di coglierne la protesta e di rimediare gli si fa il processo. Si va alla caccia delle sue vere o presunte intenzioni. Da dove esce questo?
Forse non avviene più che la carta igienica per la scuola la si debba portare da casa. Forse non avviene più che si debbano fare collette per i banchi o per una lavagna. Di sicuro si continua a frequentare edifici decrepiti e insicuri. Con l’Italia che continua a spendere per l’istruzione un 3,6 per cento del suo prodotto, lontano dal 5 per cento medio dei trentaquattro Paesi occidentali, facendo peggio solo Lituania, Irlanda, Repubblica Ceca, Lussemburgo. Mentre si continua a dire che il capitale che conta è il capitale umano. Mentre si continua a dire che il potere che conta è la conoscenza. Un fallimento testimoniato dal terzo maggior numero in Europa di giovani che non solo non studiano, ma non seguono neanche un corso di formazione e non lavorano. E mentre abbiamo il minor numero di laureati e diplomati del continente.
Un Paese nasce a scuola. È lì che si capisce cosa è e cosa vuole essere. È lì che progetta il suo posto nel mondo. È lì che costruisce la sua visione del domani. È lì che una bandiera e un inno nazionale non restano solo simboli. È lì che lo si dice alle nuove generazioni. È lì che queste nuove generazioni si imbattono non solo nella frustrazione dei mille problemi quotidiani, ma in un senso dell’abbandono che li induce al dovere dello studio e non al piacere di sapere. Perché altrimenti la scuola non sarebbe solo «scolastica» e astratta ma bella come dovrebbe essere. E non con le pezze al sedere. E affidata solo alla dedizione e allo spirito di sacrificio di docenti cui si dà tanto poco da averne mortificato il ruolo sociale, la considerazione di un tempo.
Ecco perché, quando si fanno i test Invalsi, non si dovrebbe solo prendere atto che i nostri ragazzi imparano senza apprendere. Non capiscono ciò che leggono e non sanno fare la prova del nove. Come se fosse un elemento immutabile del paesaggio e non una voragine. E senza che i primi a dover tornare a scuola non siano proprio quei governi che continuano a tagliare. Mentre le scuole scompaiono dai paesini. Mentre gli insegnanti di sostegno sono considerati un lusso. E mentre un Paese che è un museo a cielo aperto svillaneggia la storia dell’arte e la musica come se non lo riguardassero. E mentre non si pone il problema di come insegnare Dante nel tempo in cui i ragazzi vivono sul cellulare. Con gli insegnanti senza i mezzi per una formazione continua. E con una nuova leva tecnologica assente perché quella professione non è più ricercata.
Ovvio che nell’Italia che si è fatta diventare due Italie al Sud vada peggio anche nella scuola. Con istituti in regola (abitabilità, sicurezza, igiene, barriere architettoniche, risparmio energetico) solo al 15 per cento contro il 63 per cento del Nord pur nel colabrodo generale. Col rapporto docenti-studenti di uno a 13,5 contro uno a dieci al Nord.
Con le aule-pollaio di 27 ragazzi in media per classe contro i 18 del Nord. Col tempo pieno alle Elementari che è meno della metà rispetto al Centro Nord. Con una dispersione scolastica allo 0,84 per cento contro lo 0,47 per cento del Nord. E con il 28,6 per cento di docenti a tempo indeterminato contro il 39 per cento del Nord. Senza che mai un po’ di dignità impedisca di puntare il dito sui ragazzi del Sud quando i sopra detti test Invalsi ne certificano un livello inferiore senza preoccuparsi di capire il perché. Che comincia dagli asili nido pubblici, per i quali anche un recente maggiore stanziamento ha finito per privilegiare chi già ne ha di più, cioè il Nord.
Per finire all’università, che iniqui e impari criteri di finanziamento provano a condannare a morte al Sud ancorché la fuga dei migliori affligga tutta l’Italia. E con un miliardo non attribuitele che ha fatto fuggire anche il ministro. Con un numero di ricercatori che è un terzo di quelli della Germania e la metà di quelli della Francia. E col 55 per cento della ricerca sulle spalle di chi non ha un contratto a tempo indeterminato. Nella povera patria che offende la scuola. E in cui rischiano tristemente di restare solo i più anziani e chi non ha i mezzi per andarsene.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Povera Italia che mortifichi la tua scuola (Sud in testa) ultima modifica: 2020-01-04T06:20:06+01:00 da