di Alessandro Giuliani, La Tecnica della scuola, 15.1.2019
– Il ministero dell’Istruzione ha detto basta con i corsi abilitanti, i corsi-concorsi e i corsi vari che non portano a nulla: a ribadirlo, sostenendo che la parola d’ordine adesso è quella dei concorsi pubblici, unico canale di selezione che porta all’immissione in ruolo, è stato il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.
Intervenendo al congresso della Confsal, il titolare del Miur ha detto che è giunto il momento di “dare spazio ai giovani docenti: prima erano necessari tre anni per diventare insegnante, ora si vince il concorso e si entra in ruolo. Chi non lo vince ma non lo supera resta abilitato. Eliminiamo i corsi che erano un salasso e anche un impegno”.
Il costo dei corsi, in effetti, non era da poco, sia per i partecipanti (circa 3 mila euro), sia per lo Stato che in tali occasioni deve reperire commissari e presidenti di commissione, oltre che incaricare una serie di esperti per sovraintendere il concorso, più le spese vive per svolgerlo.
Con le nuove modalità di reclutamento, introdotte con la Legge di Bilancio 2019, approvata due settimane fa, ha sottolineato il ministro dell’Istruzione “chi supera il concorso, da abilitato, fa un anno di prova e entra in ruolo. I concorsi vengono banditi in base ai posti disponibili e sono nazionali”.
“Infine – ha concluso Bussetti -, una volta scelto il posto dove insegnare, è necessario rimanerci per un minimo di cinque anni”.
A rimanere in vita, comunque, saranno i corsi specializzanti per diventare insegnante di sostegno: sono previsti tre bandi nel prossimi tre anni, per complessivi 40 mila posti da mettere a bando, di cui 16 mila nel 2019.
Le misure che il Governo sta predisponendo cambieranno, quindi, in modo notevole l’attuale sistema di selezione per diventare insegnante: va ricordato, infine, che la riforma Buona Scuola dell’ex premier Matteo Renzi anche su questo ambito non ha mi visto pienamente la luce.
In particolare, a non essere mai bandito è stato il concorso per i precari non abilitati con oltre 36 mesi di servizio. I quali, a ragione, in questi mesi hanno alzato la voce in più occasioni.
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