Professori, per il ministro l’inglese non serve

– Dunque le ansie delle centinaia di migliaia di docenti che dovranno partecipare al prossimo maxiconcorso per la scuola – i cui bandi tardano ad arrivare e sui quali si stanno sprecando speculazioni di ogni tipo – sono placate. Almeno per quanto riguarda la conoscenza della lingua inglese: non servirà che quei 63mila nuovi professori (sessantatremila) la padroneggino bene. Con buona pace di tutte le classifiche internazionali sulle competenze linguistiche che ci piazzano agli ultimi posti: i recenti dati pubblicati da Eurostat raccontano per esempio che appena il 16% degli italiani è in grado di parlare una lingua straniera.

La ministra Stefania Giannini ha spiegato stamattina nel corso di un intervento in commissione Cultura al Senato che la parte della prova relativa alla lingua inglese sarà in buona sostanza neutralizzata. Continuando così a tenere viva una delle grandi piaghe della didattica italiana: il suo profondo provincialismo e la scarsa attitudine alle lingue straniere, ovviamente fra i docenti che non le insegnano (ma spesso anche fra quelli che le insegnano).

Al contrario, una serie di esperimenti come il Clil, un metodo che prevede l’insegnamento di una disciplina non linguistica per mezzo di una lingua straniera messo in campo in alcune scuole superiori, dovrebbero essere sempre più diffusi e dovrebbero vedere anche i prof non di lingua sempre più coinvolti.

Semmai al prossimo giro. Per questa volta possono anche “don’t speak english”.

Giannini ha dichiarato in commissione la volontà di fare in modo che la lingua straniera resti un elemento di valutazione. Non dimenticando un grosso però all’italiana: “Tenendo conto della differente formazione dei candidati”. Spiegando poi che i quesiti “non saranno necessariamente a risposta aperta”, formula molto complessa per chi non padroneggi almeno un po’ l’inglese, virando dunque sulle rassicuranti, vecchie crocette. Infine la stoccata mortale a ogni ambizione di cosmopolitismo del corpo docente nostrano: “Faremo in modo che non sia una competenza dirimente per ottenere il minimo del punteggio necessario per superare il concorso”. Amen.

In altre parole, traducendo quello che la ministra ha mandato a dire ai docenti abilitati che aspirano a una cattedra definitiva, significa che se anche in quella porzione di prova non otterranno un risultato sufficiente non sarà un problema. Nel senso che non dovrebbe incidere nel conteggio finale per superare il concorso. Una prova dunque finta, per quella parte. Inutile nella forma e nella sostanza. Ma soprattutto tafazziana: che messaggio pensiamo di spedire ai giovani – che per fortuna spesso l’inglese lo sanno meglio degli insegnanti – con una scelta del genere?

È insomma una decisione fuori dalla realtà. Sarà pur vero, come commentano molti portali specializzati, che “al Governo si sono accorti che è meglio avere un bravo docente di latino con conoscenze limitate di inglese, che un docente di latino con ottime conoscenze di inglese, ma scarse nella materia specifica”. Ma in questo caso non si parla di “conoscenze limitate”. Un conto sono le conoscenze limitate, un altro le dichiarazioni di Giannini che, almeno a una prima lettura, non lasciano spazio agli equivoci: cari prof, state tranquilli perché l’inglese non vi serve per passare il concorso. E quello che troverete nelle prove vedremo di non farlo pesare nella valutazione complessiva.

Il problema è poi più generale: perché i tanti aspiranti docenti dovrebbero essere “preoccupati del valore attribuito dal ministero alla conoscenza della lingua straniera”? Banalmente, un livello decente di lingua dovrebbe far parte del curriculum di ogni professore stipendiato con le finanze pubbliche. Ciascun professore. Anche se non tirerà mai fuori neanche il famoso “cat is on the table”, a lezione. Prima di essere un’opportunità didattica è infatti una forma mentis e un approccio logico all’impiego pubblico.

Provate a presentarvi per qualunque posizione lavorativa senza un buon livello d’inglese: dal commesso al top manager, non esiste opportunità che possiate aggiudicarvi senza quella basilare competenza. Perché ai professori – che invece dovrebbero costituire la punta di diamante dell’apparato culturale italiano, le guide, gli esempi – non dovrebbe essere richiesto?

Professori, per il ministro l’inglese non serve ultima modifica: 2016-02-12T08:18:48+01:00 da
Gilda Venezia

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