Programmi elettorali sulla scuola: nessun partito punta sull’istruzione come motore dello sviluppo del Paese, ponendola al centro dell’agenda programmatica, ma al contempo la lista delle promesse in vista del voto del 25 settembre richiederebbe risorse ben superiori – tra i 12 e i 15 miliardi di euro all’anno – a quelle previste dal quadro macroeconomico preso a riferimento dagli ultimi governi, e non compatibili con l’attuale incidenza della spesa dell’istruzione sul PIL, in costante calo da anni. Come verrebbe finanziata questa radicale inversione di tendenza?
Nei programmi delle principali forze politiche si contano ben 38 diverse proposte di riforma. Il libro dei sogni elettorali include il tempo pieno per tutti alla scuola primaria (programma di Azione-Italia Viva, costo 12 miliardi di euro, più del Reddito di Cittadinanza), la riduzione del numero di alunni per classe a 15 (Verdi-Sinistra Italiana, costo 8 miliardi all’anno, senza contare l’indisponibilità di nuove aule in molte scuole), l’assunzione di circa 150 mila precari (Lega). E molto altro, spesso con spese difficilmente sostenibili.
Spiccano assenze sorprendenti. Nel programma del M5S nessun accenno a classi pollaio e al tempo pieno, storici cavalli di battaglia del Movimento.
In generale, nel caleidoscopio di proposte avanzate dall’estrema sinistra fino a Fratelli d’Italia non emerge la visione di un modello di scuola profondamente innovativo in grado di rispondere alle sfide attuali e future poste dall’evoluzione tecnologica, ambientale e sociale per un paese in cui oggi uno studente su due al termine del ciclo di studi è sostanzialmente impreparato, come certificato dall’Invalsi. Mancano inoltre quelle misure ritenute fondamentali da chi vive all’interno della scuola, come ad esempio la revisione di regole di funzionamento arcaiche che causano inefficienza (dalle nomine dei supplenti agli orari di lavoro), la possibilità da parte delle scuole di scegliere il personale per rispondere agli obiettivi ad esse assegnati, una governance meno burocratica e più basata su responsabilità e valutazione dei risultati.
Successivi approfondimenti verranno pubblicati da Tuttoscuola nei prossimi giorni.

Radiografia e (in)sostenibilità dei programmi elettorali sulla scuola

“Se mi chiedete tre priorità per il governo rispondo con: educazione, educazione ed educazione”. Lo slogan con il quale Tony Blair vinse le elezioni del 1997 nel Regno Unito, ponendo fine a 18 anni di governo da parte del Partito Conservatore, non sembra essere in voga nella campagna elettorale del 2022 in Italia. Nei programmi elettorali presentati in questi giorni non viene dato particolare rilievo alla scuola, che nessuna forza politica (con la parziale eccezione del PD) pone tra le priorità strategiche nell’agenda del Paese. L’istruzione è presente in tutti i programmi elettorali, snocciolata all’interno di un elenco di temi, senza però che sia dato ad essa particolare peso come, per fare qualche esempio, la flat tax, il salario minimo, la difesa del reddito di cittadinanza, le pensioni da mille euro, l’abolizione della legge Fornero e così via. Insomma la scuola non si trova mai, per usare un gergo sportivo, sul podio. Evidentemente per i proponenti non coincide con le aspettative e gli interessi primari dell’elettorato.

Pur “fuori dal podio”, le promesse sulla scuola contenute nei programmi elettorali sulla scuola delle principali forze in campo sono numerose (se ne contano almeno 38) ed estremamente impegnative, tali da apparire – messe insieme – un vero e proprio libro dei sogni. Promesse con un peso finanziario non indifferente, dell’ordine di diversi miliardi di euro, che a seguito degli approfondimenti e delle stime elaborati da Tuttoscuola non appaiono compatibili con l’attuale incidenza della spesa dell’istruzione sul PIL (pari nel 2020 al 3,9%, rispetto alla media Ue del 4,7%) e tanto meno con quanto previsto nell’ultimo Nadef (la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, ossia il primo passo verso l’elaborazione della successiva legge di bilancio, che descrive il quadro macroeconomico di riferimento, tendenziale e programmatico, comprensivo dei principali indicatori di finanza pubblica) presentato dal Governo Draghi (che prevedeva una riduzione al 3,5% nel 2025, al 3,2% nel 2035) e dal precedente Governo Conte (3,4% nel 2025, 3,0% nel 2035). Anche l’ultima legge di bilancio ha previsto per i prossimi due anni la riduzione, e non il forte incremento qui prospettato, delle spese per l’istruzione.
L’Italia negli ultimi anni ha speso complessivamente (Stato ed enti territoriali) per l’istruzione tra i 65 e i 70 miliardi all’anno (nel 2020, ultimo dato disponibile, 70 miliardi, dati Eurostat). Dall’analisi approfondita svolta da Tuttoscuola dei programmi presentati in questi giorni dalle coalizioni la spesa dovrebbe salire, sia pure con gradualità, di non meno di 12-15 miliardi all’anno per realizzare almeno una parte di quanto in essi incluso, che vinca una coalizione o un’altra: un incremento dell’ordine del 15-20% rispetto alla spesa attuale, che si deduce stimando il valore delle proposte di ciascuna coalizione. Un peso finanziario che pone immediatamente un problema di credibilità e di applicabilità.

Rispetto al trend decrescente degli ultimi anni (l’incidenza della spesa sul PIL è passata dal 4,9% del 2009 al 3,9% del 2019-20) le promesse elettorali implicano una drastica inversione di tendenza che riporterebbe la percentuale del PIL a valori simili o superiori a quelli del 2009: sarà così? In base a quanto avvenuto negli ultimi tre lustri, in cui si sono avvicendate maggioranze di tutti i colori, appare poco verosimile. Le forze politiche – che implicitamente lo stanno promettendo – sono pronte a dedicare molte più risorse alla scuola sottraendole ad altro? Da dove reperiranno le risorse, da maggiori entrate o da tagli alla spesa pubblica in altri settori? In quest’ultimo caso da quali settori? Domande alle quali chi si presenta nell’agone elettorale dovrebbe dare una risposta per rafforzare la credibilità degli impegni per i quali chiede il voto.

Programmi elettorali sulla scuola: la fiera delle promesse

Nello schieramento di centro sinistra prevalgono misure legate a più tempo scuola (incremento del tempo pieno nella scuola primaria, elevamento dell’obbligo scolastico, etc), mentre nella coalizione di centrodestra si punta di più sul merito, sull’abbattimento del precariato, etc.
Analizziamo alcune delle proposte più significative, delle quali Tuttoscuola ha approfondito i possibili sviluppi ed effetti organizzativi e finanziari, per consentire di valutare meglio la portata e la fattibilità.

1. Tempo pieno per tutti nella scuola primaria


Azione e Italia Viva, in questo d’accordo con Verdi-Sinistra Italiana, propongono la generalizzazione del tempo pieno nella scuola primaria, mentre il PD propone di portare i livelli di tempo pieno nelle scuole del Mezzogiorno a quelli medi delle scuole del Centro-Nord. Il Movimento 5 Stelle stranamente non fa alcun cenno a questo obiettivo nel programma ufficiale, benché molti esponenti del Movimento in passato ne abbiano parlato come un preciso obiettivo, a partire da Giuseppe Conte quando era Presidente del Consiglio.
Attualmente il 38,1% delle classi di scuola primaria è già a tempo pieno, ma, mentre al Centro-Nord sono mediamente quasi al 49%, nel Mezzogiorno sfiorano il 21%.
La generalizzazione del tempo pieno comporterebbe la trasformazione complessiva di quasi 77.700 classi attualmente funzionanti a orario normale; conseguentemente sarebbero necessari quasi 39mila nuovi posti di docente, di cui poco più di 18.800 nel Mezzogiorno, quasi 14mila al Nord e poco più di 6mila nelle regioni dell’Italia centrale.  
Sulla base della retribuzione iniziale, al lordo degli oneri riflessi a carico dello Stato, i 39mila docenti da assumere per generalizzare il tempo pieno comporterebbero una spesa annua di circa un miliardo e 244 milioni; inoltre, il migliaio di collaboratori scolastici da assumere comporterebbero un costo annuo di circa 25 milioni, portando il costo complessivo annuo per il personale scolastico necessario per generalizzare il tempo pieno a circa un miliardo e 269 milioni.
A carico dei Comuni ci sarebbe l’incremento dei costi di mensa per circa un milione e 400 mila alunni per l’onere complessivo annuo di circa 4 miliardi e 759 milioni all’anno, in minima parte rimborsati dalle famiglie.
L’incremento del trasporto scolastico sfiorerebbe i 395 milioni di euro all’anno.
Insomma il costo di esercizio annuale complessivo per lo Stato (stipendi) e per i Comuni sarebbe in totale di circa 6 miliardi e 423milioni di euro.
Vi sarebbe poi l’investimento una tantum a carico dei Comuni per ampliamenti delle strutture o per nuove costruzioni (non meno di tre locali per ogni scuola, compreso il refettorio): stimando in almeno mezzo milione di euro gli oneri per ogni scuola messa in condizione di accogliere il tempo pieno, ammonterebbe complessivamente a circa 6 miliardi di euro. Tali spese si andrebbero a sommare ai suddetti costi di esercizio da sostenere ogni anno per 6,4 miliardi, una parte dei quali coperti dai fondi del Pnrr. Per dare un riferimento della rilevanza di questo investimento, il Reddito di cittadinanza è costato nel 2021 quasi 9 miliardi di euro (dati Osservatorio Inps).
Per dare attuazione, invece, alla proposta del PD per portare il tempo pieno nel Mezzogiorno ai livelli medi del Centro Nord, verrebbero trasformate 13.250 classi già funzionanti a tempo normale. In rapporto all’onere di generalizzazione, l’incremento di tempo pieno nel Mezzogiorno comporterebbe la spesa annua per il personale scolastico di 216 milioni di euro, mentre a carico dei Comuni la spesa complessiva iniziale sarebbe di circa un miliardo e 900 milioni.

2. Stabilizzazione del precariato

La coalizione di Centro Destra propone l’eliminazione totale del precariato, mentre Azione e Italia Viva propongono di ridurlo a livello fisiologico.

Nel 2020-21 i docenti precari sono stati 212.407, di cui quasi il 30% con supplenza annuale su posto vacante o disponibile, e altri 147.220 (70%) con supplenza fino al termine delle lezioni (30 giugno).
La stabilizzazione del personale precario richiede prima di tutto la stabilizzazione dei posti a cui assegnarli; in alternativa occorrerebbe costituire un organico aggiuntivo del tipo DOA degli anni ’80.
La questione dei posti disponibili per assegnarvi i precari resta tutta da definire, perché in media circa il 70% dei posti di supplenza a cui vengono assegnati i precari con nomina fino al 30 giugno, sono non stabilizzati, e, in quanto tali, non disponibili per immissioni in ruolo.
Se si vuole immettere in ruolo quel 70% di docenti precari, o anche una sola parte, occorrerà stabilizzare in organico di diritto tutti quei posti o, almeno, la parte destinata alla corrispondente quota di docenti precari.
Senza considerare la modalità di stabilizzazione (concorso per titoli ed esami, concorso per solo titoli), l’immissione in ruolo dei 147.220 supplenti con contratto fino al 30 giugno, comporterebbe in prima applicazione il pagamento dei due mesi estivi (oggi non coperti dai contratti a tempo determinato fino al termine delle lezioni), con il seguente risultato.
Scuola dell’infanzia: circa 14.300 docenti per un costo lordo di 76 milioni e 300 mila euro.
Scuola primaria: circa 47mila docenti per un costo lordo di 250 milioni e 760 mila euro.
Scuola secondaria di I grado: circa 33.700 docenti per un costo lordo di 194 milioni e 230 mila euro.
Scuola secondaria di II grado: circa 52.300 docenti per un costo lordo di 301 milioni e 730 mila euro.
Il costo complessivo in prima applicazione sarebbe di oltre 823 milioni di euro. Il costo annuale tenderà a crescere ulteriormente rispetto a quello attuale per i maggiori scatti di anzianità. Nessun programma specifica se e come sarà accertata la preparazione del personale il cui contratto verrà trasformato a tempo indeterminato.

3.Riduzione del numero di alunni per classe

Si potrebbe pensare che la proposta venga dal M5S che ha avuto tra i suoi cavalli di battaglia le “classi pollaio”. Niente affatto: il partito di Conte non ha compreso tra le sue proposte la riduzione della numerosità delle classi.
Azione e Italia Viva propongono di ridurre il numero di alunni nelle classi delle Aree di crisi sociale.
Ma la proposta più dirompente è venuta dall’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana che ha proposto di ridurre il numero massimo di alunni per classe a 15.
Nella scuola statale dell’infanzia il tetto massimo di 15 bambini per sezione determinerebbe un aumento di circa il 50% delle sezioni attuali e un conseguente incremento dell’organico di oltre 40mila docenti. Il costo, compresi gli oneri riflessi sarebbe di un miliardo e 300 milioni.
Nella scuola primaria il tetto massimo di 15 alunni determinerebbe il 28% di aumento del numero delle classi con conseguente incremento dell’organico docenti di oltre 60mila unità e un onere complessivo di circa due miliardi di euro.
Nella secondaria di I grado si registrerebbe un incremento del 40% delle classi con oltre 53mila docenti e un costo lordo di un miliardo e 800 milioni.
Infine, nella secondaria di II grado vi sarebbe un 45% di incremento del numero delle classi e un aumento di organico di oltre 96mila unità, con un costo di oltre tre miliardi e 300 milioni di euro.
Allo Stato la proposta costerebbe circa 8 miliardi e 400 milioni all’anno. Ma a parte il reperimento delle ingenti risorse, ci saranno all’interno degli edifici scolastici gli spazi per così tante nuove classi?

4.
Obbligo scolastico nella scuola dell’infanzia

Il PD ha proposto di introdurre nella scuola dell’infanzia l’obbligo scolastico gratuito.
Attualmente sono iscritti nelle scuole dell’infanzia statali e paritarie in età regolare (dai tre ai cinque anni) poco più di 1.200.000 bambini, pari all’89% di tutti i bambini censiti dall’ISTAT.
L’introduzione dell’obbligo determinerebbe l’ulteriore scolarizzazione di circa di 150mila bambini, di cui, tenendo conto dell’attuale rapporto degli iscritti nelle scuole statali e paritarie, circa 96 mila verrebbero iscritti nelle scuole statali. Confermando l’attuale rapporto medio di bambini per sezione registrato nelle diverse regioni, verrebbero costituite più di 4.600 nuove sezioni nelle sole scuole statali. Tenendo conto della percentuale delle sezioni funzionanti a orario normale (con doppio organico) e di quelle funzionanti a orario ridotto (con un solo docente), l’organico degli insegnanti aumenterebbe di oltre 8.700 unità.
Il costo lordo a carico dello Stato ammonterebbe a circa 279 milioni all’anno.
Ma la gratuità dei pasti a mensa, con la quale un’altra proposta del PD intende accompagnare l’obbligo scolastico nella scuola dell’infanzia, comporterebbe un onere aggiuntivo per tutti gli obbligati (oltre 902 mila) per tre miliardi e 337 milioni all’anno.
Complessivamente l’introduzione dell’obbligo con totale gratuità comporterebbe un onere di tre miliardi e 616 milioni di euro.

Ulteriori analisi e approfondimenti verranno pubblicati su www.tuttoscuola.com nei prossimi giorni.

Sintesi dei programmi elettorali sulla scuola dei principali raggruppamenti politici: Centrodestra, PD, Terzo Polo (Azione-Italia Viva), M5S

Per cosa si caratterizzano i programmi sulla scuola di ciascuna delle principali forze politiche?
Ecco una sintetica rassegna:

Centrodestra:

– Eliminazione del precariato del personale docente e investimento nella formazione e aggiornamento dei docenti.
– Valorizzazione e promozione delle scuole tecniche professionali volte all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. 
– Maggiore sostegno agli studenti meritevoli e incapienti.
– Riconoscere la libertà di scelta educativa delle famiglie attraverso il buono scuola.
– Nuove realizzazioni di edilizia scolastica.
– Favorire il rientro degli italiani altamente specializzati attualmente all’estero. 

PD:

– Jus scholae: i figli di genitori stranieri che completano un ciclo di studi in Italia diventano cittadini italiani.
– Scuola dell’infanzia obbligatoria e gratuita.
– Far crescere nelle scuole la cultura e la pratica della valutazione e dell’autovalutazione.
– Garantire ai docenti opportunità di crescita professionale.
– Promuovere formazione iniziale, formazione in servizio e aggiornamento professionale.
– Definire il costo standard di sostenibilità anche per promuovere il pluralismo educativo e una migliore offerta formativa per il diritto allo studio.
– Istituzione di ‘aree di priorità educativa’ nelle aree marginali con i più alti tassi di abbandono e di povertà, inviandovi docenti “appositamente formati e valorizzati in modo che gli studenti siano seguiti meglio e con piani educativi personalizzati”.

Terzo Polo (Azione/Italia Viva):

– Elevamento dell’obbligo scolastico dai 16 ai 18 anni riducendo la durata degli studi da 13 a 12 anni.
– Tempo pieno in tutte le scuole primarie.
– Carriera per i docenti attraverso la creazione di figure professionale differenziate e aumento “significativo” dei salari.
– Riduzione del numero massimo di alunni per classe.
– Interventi nelle aree di crisi con incentivo economico per i docenti appositamente formati che vi rimangano per almeno un ciclo di istruzione.
– Riforma degli istituti professionali sul modello degli ITS con docenti che vengono dalle imprese.
– Libertà di scelta educativa per le famiglie migliorando gli strumenti a disposizione e studiandone altri (buono scuola, rimborsi fiscali, costo standard).

M5S:

– Educazione sessuale e affettiva nelle scuole.
– Jus Scholae per riconoscere la cittadinanza al minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso, qualora abbia completato regolarmente uno o più cicli di studi.
–  Adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai livelli europei.
– Più psicologi e pedagogisti per fornire un sostegno ai nostri ragazzi e a tutta la comunità scolastica.
– Introduzione di una ‘scuola dei mestieri’ per valorizzare e recuperare la tradizione dell’artigianato italiano.
– Riduzione del numero chiuso per l’accesso all’università.
.
.
.
.
.
.