Promuovere l’inclusione fuori dagli slogan

di Fulvia Del Bravo, il Sussidiario, 31.10.2025.

Promuovere l’inclusione nella scuola è un mantra con il quale si rischia di fare ideologia. Ma per gli studenti fragili è una istanza inderogabile: le diversità da rispettare.

Gilda Venezia

Promuovere l’inclusione è uno dei principali compiti dei nostri istituti. I primi destinatari sono senza dubbio gli alunni con fragilità di varia natura: diversamente abili, con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), con bisogni educativi speciali (BES) anche in assenza di diagnosi. La promozione dell’inclusione riguarda però tutta la popolazione scolastica, perché costituisce l’arma principale nella lotta contro la dispersione scolastica e l’abbandono.

Ci si muove utilizzando gli appositi strumenti (piani didattici personalizzati, incontri con le famiglie, i servizi) redigendo relazioni, documenti, adoperandoci a rendere il percorso degli alunni sereno e volto al successo formativo con una particolare attenzione alla crescita dell’individuo e al raggiungimento di obiettivi di autonomia ed auto-efficacia progettati per ciascuno.

Talvolta l’esito di questo lavoro lo si ha davanti agli occhi quando i progressi e gli obiettivi raggiunti sono evidenti al termine del percorso e riconosciuti sia dalla famiglia sia dai servizi.

In altre situazioni si ha invece la sensazione di brancolare nel buio, in quanto non si hanno riscontri rispetto alle azioni intraprese, alle perplessità espresse o alle richieste di maggiore collaborazione che restano disattese. Capita di vedere i ragazzi terminare l’iter scolastico anche positivamente dal punto di vista della promozione, ma con importanti dubbi e interrogativi sulla solidità della loro crescita, come se ci trovassimo su un’auto che attraversa il traguardo ma con tante spie luminose di allarmi che lampeggiano all’impazzata.

Si ha pure l’impressione che questi ragazzi vengano trattati come “casi”, scaricati sull’ordine di scuola che frequentano e poi riaffidati ad altri senza continuità. I servizi risentono di mancanza di personale, ci sono spesso avvicendamenti e scarsa coscienza professionale; l’unica possibilità è intraprendere una vera collaborazione, come si fa talvolta, tra i docenti di istituti di grado diverso, per cui si accompagna lo studente (tra insegnanti di sostegno ed educatori) all’ingresso nel nuovo ordine di scuola. Ma poi se ne perdono le tracce.

Bisognerebbe escogitare una modalità per tirare le fila del lavoro svolto, per restituire a chi è interessato un resoconto di ciò che ha funzionato, delle criticità affrontate spesso non risolte, come altrettanto di esperienze felici allo scopo di dare una sorta di “storicità” dei percorsi come strumento di lettura dell’evoluzione della tipologia di alunni, del contesto in cui opera la scuola, dei flussi migratori.

L’iter, la burocrazia, i documenti e gli incontri (GLO) sono necessari e doverosi, ma qual è il senso di certe scelte, cosa implica avere un atteggiamento inclusivo dentro le nostre aule? Come costruire un’educazione inclusiva che trasmetta valori che diventano propri e non proclami astratti che non incidono sulle dinamiche relazionali?

È un lavoro spesso frustrante, che riparte più volte da zero, perché i disagi sono difficili da sopportare, da sostenere e soprattutto da condividere senza che schiaccino tutti e l’atmosfera in classe diventi asfissiante e fuori controllo. È una sfida continua: certi alunni provocano e snervano l’adulto che li segue perché ascolti il loro grido d’aiuto e solo quando egli è disposto a riconoscerlo allora qualcosa può cambiare. Si comincia ad attivare un legame di fiducia, prima fragile ed incerto, poi sempre più solido e non compromesso dai passi falsi che ci potranno essere.

Bisogna essere vigili sulle dinamiche prevaricatorie che possono innescarsi, sul gruppo che vìola il singolo ed intervenire con ragioni opportune, ma soprattutto offrendosi come interlocutori presenti e disposti ad accompagnare in un percorso. Sembra a volte impossibile scardinare certi pregiudizi; le famiglie dei compagni sono maldisposte e spesso anche i colleghi sono scettici. Basta però che almeno due docenti condividano un’idea positiva e qualcosa si può smuovere.

Generalmente dietro gli atteggiamenti spavaldi e di sfida degli alunni c’è una richiesta di essere visti, essere presi in considerazione per il valore che si porta ma che è stato così tanto calpestato che l’autostima è andata distrutta e la ribellione appare l’unica strada percorribile.

Si possono raccontare tante storie di successo, di cambiamenti positivi ed insperati, ma è necessario non schivare il compito e non deresponsabilizzare chi lavora nella scuola adducendo la scusa che l’educazione si impara in famiglia. Gli obiettivi educativi si devono perseguire in classe, il rispetto di sé e degli altri si apprende studiando la letteratura, la storia, non con discorsi preconfezionati, o con un buon programma di educazione civica.

Si lavora con le ipotesi che si programmano a monte, ma poi ci si mette in ascolto e si cerca di far emergere i desideri e le passioni di chi si ha davanti. Capita che ci sia un appiattimento scoraggiante, nessuna profondità di giudizio, immaturità e allora si offrono spunti più semplici su ciò che mostra una maggiore attrattiva.

Occorre una didattica sfidante, non una che riduca i contenuti: invece di proporre la parafrasi del quinto canto dell’Inferno si propone la realizzazione di uno story board o di una intervista impossibile a Paolo, che piange e basta, oppure ci si interroga sul perché di questa scelta di un uomo che piange e si invita a rispondere a partire dal proprio vissuto, compresi i testi delle canzoni che ascoltano.

Se le pagine di storia appaiono pesanti si possono rendere interessanti con la drammatizzazione, con i dibattiti o ancora con approfondimenti sulle biografie dei personaggi. Di fronte ad una proposta leale nessuno si tira indietro. I nostri ragazzi sono affamati di significato, ma si nutrono di scarti che trovano facilmente accessibili in rete. Offriamo loro un lavoro leale senza vergognarci di sostenere la loro umanità, guardandoli e favorendo la possibilità che emergano loro desideri più veri e che li sostengano.

Promuovere l’inclusività in modo responsabile rendendo il rispetto della diversità una competenza valida al pari del saper fare, insegnare a riflettere prima di giudicare, è il modo più efficace per far crescere i nostri ragazzi.

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Promuovere l’inclusione fuori dagli slogan ultima modifica: 2025-10-31T06:45:37+01:00 da
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