Luciano Canova, La Voce.info, 23.12.2015.
Le pluriclasse sono composte da alunni di età diverse iscritti ad anni di scuola diversi. In Italia si trovano nei comuni delle cosiddette aree interne. Sono un bene o un male per i bambini? Difficile dirlo perché non ci sono dati per studiarle. E allora come decidere se mantenerle o chiuderle?
Pluriclasse nelle “aree interne”
Sono circa 51mila i bambini che in Italia frequentano la scuola primaria in una pluriclasse, cioè in un contesto molto diverso da quello sperimentato dalla maggioranza dei loro coetanei. Una pluriclasse è composta da alunni di età diversa iscritti ad anni diversi del ciclo formativo. In queste situazioni, gli insegnanti svolgono contemporaneamente più programmi ministeriali: mentre i bambini della prima si esercitano a scrivere “ape”, quelli della terza si sforzano di apprendere i sistemi di misura.
Non si tratta di un fenomeno solo italiano: le pluriclasse sono diffuse anche negli Stati Uniti (nel 2007 le utilizzava circa il 28 per cento delle scuole) e in alcuni paesi europei (in Francia coinvolgono il 37 per cento degli alunni delle scuole primarie).
In Italia, questo tipo di organizzazione didattica è tipica dei comuni delle aree interne (definite rispetto alla loro distanza dai centri di offerta di servizi di base) e spesso risponde alla volontà di mantenere almeno un presidio scolastico sul territorio, per evitare i disagi derivanti dal trasporto e preservare un luogo di aggregazione.
Negli ultimi anni, questi comuni (sono 4.261, con una popolazione media di circa 1.500 abitanti) hanno subito un forte spopolamento che si è tradotto in scuole e classi di piccola dimensione: nel 25 per cento dei comuni delle aree interne il numero totale degli alunni iscritti alla scuola primaria è inferiore a cinquanta (meno di dieci alunni per classe).
Un problema per la Buona scuola
Per migliorare la qualità dell’istruzione in queste aree il governo ha previsto una serie di interventi da finanziare sia con risorse destinate dalla legge di stabilità alle aree interne e alla Buona scuola, sia con risorse Pon – Programma operativo nazionale. Tra gli interventi vi è anche la riorganizzazione del servizio scolastico, con due possibili scelte. La prima (intrapresa recentemente dalla regione Sardegna con la chiusura di ventinove pluriclassi) prevede l’accorpamento in nuove scuole. La seconda, invece, consente di mantenere le pluriclassi in quelle aree in cui l’isolamento geografico e i problemi di mobilità impediscano l’accorpamento, ma a condizione che venga previsto un piano per il miglioramento della didattica.
Si tratta di una scelta complessa perché poco si sa dell’effetto che le pluriclassi producono sui processi di apprendimento. Spesso si afferma che questa pratica didattica sia disfunzionale: insegnanti costretti a saltare da un programma all’altro e a curare le interazioni tra alunni con bisogni diversi. Tuttavia, un ambiente così variegato in termini di età, competenze e maturità può essere una buona palestra per favorire la creatività, l’accettazione del diverso, l’autonomia. Inoltre, gli studenti con meno competenze possono beneficiare del supporto e dall’interazione con quelli più grandi e con competenze maggiori. È difficile quindi dire se gli allievi di una pluriclasse sono penalizzati o avvantaggiati.
Gli studi al riguardo sono pochi anche perché non è facile riuscire a distinguere l’effetto prodotto dal frequentare una pluriclasse dall’effetto prodotto da altri fattori che sono strettamente collegati al fatto di frequentarla (chi frequenta questo tipo di classe può godere o soffrire di particolari condizioni che non è possibile osservare). I pochi lavori che hanno cercato di risolvere questi problemi con tecniche adeguate trovano risultati ambigui. Secondo una recente ricerca di Edwin Leuven e Marte Ronning ciò potrebbe dipendere dal fatto che le pluriclassi producono effetti eterogenei a seconda delle caratteristiche degli studenti: sono benefiche per i più giovani che entrano in contatto con ragazzi più maturi e producono invece effetti negativi su questi ultimi, che sono costretti a interagire con compagni con un livello di preparazione inferiore alla propria.
Cosa sappiamo per l’Italia? Nel documento Le aree interne nel contesto de la Buona scuola si sostiene che il livello di competenza in italiano e in matematica (Invalsi) degli studenti che frequentano le pluriclasse è talora mediamente superiore, talora mediamente inferiore ai livelli medi della regione di appartenenza. Non ci sono però studi al riguardo, anche perché, per quel che ne sappiamo, è difficile reperire i dati che permettano l’analisi. I dati Invalsi sono accessibili, ma non è facile collegarli con altre fonti che permettano di identificare gli studenti che frequentano una pluriclasse.
Se a livello centrale non si sa molto circa l’effetto che le pluriclasse producono sull’apprendimento degli studenti, è ragionevole pensare che ne sappiano di più i soggetti che a livello locale dovranno scegliere se mantenerle o eliminarle? Non si tratta forse di informazioni rilevanti per la scelta e in ogni caso cruciali per capire gli interventi da intraprendere per migliorare la didattica?