Quando la vittima è il prof: “La mia vita rovinata dai bulli”

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di Lidia Catalano,  La Stampa 27.3.2016

– Verona, perseguitato in classe e sul web ha cambiato tre scuole: “Abbandonato da tutti”

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 Il calvario del professor Fabrizio (il nome è di fantasia) inizia con una raccomandazione banale a uno studente sullo scooter senza casco. «Stai attento», gli grida mentre si allontana da scuola. «Un’ingenuità», riflette lui adesso. Perché alcuni mesi dopo quel ragazzo muore in un incidente stradale. E il professore diventa «il corvo», il «porta sfiga», «l’appestato».
Fabrizio ha 54 anni e insegna negli istituti di Verona da quando ne aveva 23. «Ho sempre avuto un ottimo rapporto con i ragazzi, tanto che in quella scuola mi avevano chiesto di seguire i progetti di educazione alla salute: casi di dipendenze, abusi, disturbi alimentari». Si prendeva cura delle vittime, finché non è diventato vittima lui stesso. Nel 2008 la situazione precipita. «Quando attraversavo i corridoi i ragazzi scappavano, facevano le corna, si toccavano i genitali. In classe era un susseguirsi di risatine, insulti, mani che toccano ferro. Mi sentivo travolto da una gigantesca onda di disprezzo».

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Le foto in rete
Il professore ignora in quel momento che quanto accade tra i banchi dell’istituto è nulla rispetto a quel che avviene sui social network. «Non sapevo che cosa fosse Facebook finché una collega mi ha informato dell’esistenza di un profilo a mio nome. Sono andato a verificare e ho visto decine di fotografie scattate dai ragazzi di nascosto, accompagnate da commenti infamanti». In un’immagine è ripreso di spalle mentre sfoglia un libro. Nella didascalia si legge: «Starà scegliendo la sua prossima vittima?». In un altro scatto si vedono due ragazzi incappucciati sullo sfondo: «Non sono più tra noi, la Sua maledizione ha avuto effetto». Fabrizio è sconvolto. «La difficoltà più grande è conservare l’equilibrio psichico. Le calunnie sono talmente pressanti che si rischia di non distinguere più il confine tra realtà e menzogna». Il via libera all’adozione di due bambini gli offre la possibilità di allontanarsi, di «respirare aria non infetta». Prende un congedo di paternità, vola in Brasile. «Speravo di essermi lasciato quell’incubo alle spalle, ma ho dovuto ricredermi». In sua assenza il mito si ingigantisce. Diventa leggenda. «Ero deriso anche dagli studenti del primo anno, ragazzi che non avevo mai visto prima». Qualche giorno dopo l’episodio che segna un punto di non ritorno. Una classe esce per una gita in bicicletta. Il professore li incrocia nel cortile, qualcuno grida: «Oggi uno di noi morirà». Ancora una volta le foto finiscono su Facebook, seguite da una pioggia di commenti, «mi piace», condivisioni. È la goccia che fa traboccare il vaso.

«Lasciato solo»
Fabrizio raccoglie tutto in un dossier e decide di reagire. «Ho fatto varie segnalazioni alla dirigenza, ma sono cadute nel vuoto. Neppure tra i colleghi ho trovato solidarietà. Anzi. In alcuni casi gli stessi docenti fomentavano gli atteggiamenti di scherno per attirarsi le simpatie dei ragazzi». Scattano le denunce alla polizia postale, il falso profilo Facebook viene chiuso. «Ma mi sentivo isolato, messo all’angolo. Ho dovuto chiedere di cambiare scuola».
Nel 2011 il trasferimento in un nuovo istituto. Ma il linciaggio digitale arriva molto prima di lui. «Il primo giorno di scuola tutti conoscevano il mio nome». Fabrizio inizia a pensare che non ci sia scampo. Va in cura da uno psichiatra, prende farmaci per dormire. Nonostante tutto decide di combattere, non vuole abdicare. Cerca un dialogo con gli studenti, si inventa nuove attività, fa partire un corso di teatro. Incassa la solidarietà dei docenti e di alcuni ragazzi. Uno di loro si siede davanti al computer e scrive: «Caro professore, le chiedo scusa per la cafonaggine delle cose che ho scritto, per me è stato solo un motivo di aggregazione in una classe nella quale ero nuovo e non conoscevo nessuno. Spero che possa perdonarmi». Ma la massa è più forte. È dirompente. Fabrizio pensa anche di cambiare cognome. «Avevo paura per i miei figli, che frequentano le medie e le superiori. Non volevo che questo marchio di infamia ricadesse anche su di loro».
Gli si presenta l’opportunità di trasferirsi in un’altra scuola, di ricominciare ancora una volta da zero. Le cose finalmente iniziano ad ingranare nel verso giusto. Ma quella vecchia storia ogni tanto fa ancora capolino. «Ho imparato a intercettare i segnali e intervenire prima che il fuoco divampi. Purtroppo la brace è ancora accesa». Fa una pausa. «L’altro giorno ho letto che il fenomeno del suicidio colpisce soprattutto i single. Se non avessi avuto accanto i miei cari, non so…». Un’ombra gli attraversa lo sguardo. «Quello che è successo ha minato la mia dignità di uomo e di insegnante. Una sofferenza che non auguro a nessuno».

 

Per segnalazioni: lidia.catalano@nexta.lastampa.it  

Quando la vittima è il prof: “La mia vita rovinata dai bulli” ultima modifica: 2016-03-27T07:41:08+02:00 da
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