Quando l’inclusione diventa un dogma pericoloso

tuttoscuola_logo14

Il caso del niqab di Monfalcone. Serve una nuova legge?

Gilda Venezia

La notizia, data dalla giornalista Gianna Fregonara in un servizio per il Corriere della Sera (5 febbraio), ha suscitato interesse e discussione perché, per la prima volta in Italia, è stato consentito ad alcune studentesse di una scuola statale (l’Istituto Professionale Pertini di Monfalcone, in provincia di Gorizia) di indossare in classe il niqab, il velo nero che copre tutto il corpo, compreso il volto, e lascia scoperti solo gli occhi. Le alunne sono originarie del Bangladesh, come molti degli operai che lavorano nei cantieri di Monfalcone.

Una pratica vietata in Italia da una legge (numero 152/1975) che vieta di coprirsi il volto nei luoghi pubblici, ma che la preside di quell’istituto ha ritenuto di non rispettare ritenendo prioritario l’obiettivo di includere le ragazze nel processo formativo: imporre di scoprire il volto “può indurre le ragazze a lasciare la scuola, mentre l’istituzione raggiunge il suo scopo quando l’allievo consegue i cinque anni di studio. Di qui la necessità di ricreare tranquillità e fiducia per far sentire a casa le giovani e capire se il lavoro di insegnanti e compagni possa portarle a essere più libere”.

Così ogni mattina, prima dell’inizio delle lezioni, in un’apposita aula apprestata nell’atrio, all’ingresso della scuola, una insegnante, appositamente incaricata, provvede a identificarle e fa loro alzare il velo per controllarne l’identità. Dopo, possono stare in classe col velo integrale mentre per le ore di educazione fisica hanno un programma speciale e un insegnante specializzato.

Immediate le ripercussioni politiche della vicenda a livello locale (Consiglio comunale di Monfalcone e Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia) e nazionale. A livello locale, per ora e sia pure con motivazioni diverse, destra e sinistra convergono nel criticare la decisione della preside di ammettere le alunne con niqab in classe. Alle reazioni a livello nazionale è dedicata questa notizia.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha subito dichiarato “inaccettabile che una scuola sia costretta ad adattare i propri regolamenti per sottostare a culture incompatibili con i nostri valori” e rilancia la proposta di legge, a prima firma del deputato Igor Iezzi, che vieta l’uso del velo nei luoghi pubblici. Per chi “costringe” le donne a indossarlo, è previsto il carcere fino a 2 anni, una multa fino a 30mila euro e la preclusione della richiesta di cittadinanza.

Più cauto, almeno nel linguaggio, il ministro Giuseppe Valditara, intervenuto dopo che la neo-nominata Garante per l’infanzia, Marina Terragni, aveva parlato della necessità di intervenire in una situazione che “solleva molte preoccupazioni sulla libertà delle ragazze, sulla loro effettiva integrazione” e sugli “ostacoli al pieno sviluppo della personalità”. “Condivido il messaggio della Garante”, ha detto il ministro, “la scuola deve essere un luogo di vera integrazione, di relazioni umane solide e trasparenti, di valorizzazione della dignità della persona, un luogo in cui ragazze e ragazzi siano liberi di crescere armoniosamente. Non si deve caricare la scuola di responsabilità che non le competono”.

A tal fine, senza riferirsi comunque alla proposta di legge della Lega, il ministro ha però ribadito la necessità di un intervento legislativo “che riveda la normativa vigente”, perché “non si può chiedere a dirigenti scolastici e docenti più di quanto ha fatto la preside della scuola di Monfalcone”.

Di diverso avviso la senatrice del PD Tatjana Rojc, per la quale non serve una nuova legge, perché già quella vigente stabilisce l’obbligo di mostrare il volto: si tratta solo di farla rispettare.

Ma evidentemente esistono margini di interpretazione della norma, come il caso di Monfalcone dimostra. Il rischio è una nuova legge non si limiti solo a un chiarimento sul divieto, ma si estenda ad altri aspetti della problematica relativa agli immigrati di religione musulmana.

Forse è proprio per evitare che la questione straripi in una più ampia e pericolosa polemica anti-islamica che Reajul Haq, presidente del centro culturale islamico Baitus Salat, ha fatto sapere che, interpellato dalla preside del Pertini per avere la sua opinione, le aveva detto che “se lo Stato vieta il velo, ci adegueremo”, come ha riferito Marco Imarisio sempre sul Corriere.

La posizione di Reajul Haq sembra saggia e realista. L’inclusione non può essere perseguita a ogni costo e nel mancato rispetto delle norme di convivenza del Paese che include, soprattutto se è una democrazia pluralista come l’Italia. Se l’inclusione diventa un dogma, possono esserci effetti indesiderati e controreazioni, come hanno dovuto constatare i democratici americani nelle ultime elezioni.

.

.

.

.

.

.

.

Quando l’inclusione diventa un dogma pericoloso ultima modifica: 2025-02-14T04:40:14+01:00 da
WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

GILDA VENEZIA - Associazione Professionale GILDA degli INSEGNANTI - Federazione Gilda Unams

webmaster: Fabio Barina



Sito realizzato da Venetian Navigator 2 srl