Quanto conta l’insegnante nella qualità dell’apprendimento?

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di Simonetta TassinariIl Libraio, 29.9.2017

– “Dal punto di vista etimologico, “insegnare” significa “lasciare un segno”, e che i propri maestri siano, nel bene o nel male, indimenticabili, è percezione comune. Su ilLibraio.it le riflessioni della scrittrice (e docente) Simonetta Tassinari, che si chiede: quale peso hanno le qualità umane e intellettuali dell’insegnante, l’entusiasmo che ci trasmette (oppure che ci affossa), il metodo con il quale ci propone la sua disciplina, nella nostra formazione complessiva?

Quanto conta l’insegnante nella qualità dell’apprendimento? Poco, molto o moltissimo?

Dal punto di vista etimologico, “insegnare” significa “lasciare un segno”, e che i propri maestri siano, nel bene o nel male, indimenticabili, è percezione comune. C’è chi, a distanza di anni, ne ricorda ancora i vezzi, e magari gli errori o le “ingiustizie”, soprattutto la parzialità nell’assegnare i voti, attribuita comunemente a simpatia o antipatia.

In realtà, quando questo accade, e accade, purtroppo, relativamente  spesso, si tratta piuttosto di una forma di debolezza emotiva (e di scarso rispetto nei confronti dell’etica professionale, s’intende), che rende alcuni docenti suscettibili a fattori che nulla c’entrano con una valutazione il più possibile oggettiva, sicché talvolta un modo di sorridere accattivante, un certo brio, una certa parlantina finiscono per alterare il giudizio su un alunno, confluendo ingiustamente nel voto scolastico (e se ne potrebbe parlare più diffusamente la prossima volta…).

Ma il quesito nodale sul quale vorrei concentrarmi riguarda un altro aspetto: oltre a guadagnarsi un posto perenne nella nostra memoria (sempre nel bene o nel male), quale peso hanno le qualità umane e intellettuali dell’insegnante, l’entusiasmo che ci trasmette (oppure che ci affossa), il metodo con il quale ci propone  la sua disciplina, nella nostra formazione complessiva?Insomma, a parità di doti personali, prontezza di riflessi, capacità mnemoniche, volontà (ammesso che una sostanziale parità di tal tipo possa esistere tra le persone: siamo comunque in un campo minato), un bravo insegnante può fare la differenza,  senza dimenticare, ovviamente, che un bravo insegnante è anche colui che aiuta a sviluppare armonicamente le doti individuali o naturali, suscitando le giuste curiosità, potenziando l’interesse e anche la memoria?

Il pedagogista e manager culturale americano Doug Lemov,autore del bestseller Insegna come un campione, è convinto che l’insegnante sia tutto (o pressoché tutto), soprattutto nel caso di bambini e ragazzi che vivono in un ambiente culturalmente limitato e con pochi mezzi a disposizione dei genitori per arginare queste carenze (libri, film, occasioni di svago, studio e lettura, viaggi).

Lemov pensa alle minoranze etniche, alle periferie, agli ambienti degradati, alle famiglie monogenitoriali con problemi economici, tutti casi in cui l’unica vera possibilità, secondo lui, proviene dalla scuola, tenuta a offrire soluzioni su una questione così ricca di significati etici, e di conseguenze anche pratiche, come l’educazione dei futuri cittadini. L’insegnante, ogni insegnante, dovrebbe perciò essere un “campione”, e non limitarsi a dominare solamente la propria disciplina; le conoscenze salde e certe sono una caratteristica fondamentale ma non esclusiva del suo ruolo, ruolo che non dovrebbe, mai, essere scelto a cuor leggero, bensì consapevolmente, non certo come un ripiego.

L’insegnante-campione dovrebbe essere un comunicatore, un duttile esperto di psicologia, pieno di energia, di forza, di iniziativa e di fantasia; studiare di continuo, inventare, adattarsi, chinarsi e rialzarsi, pronto a evolversi a seconda di chi si troverà davanti. In sintesi, ogni sua lezione dovrebbe diventare una specie di capolavoro. Alti ideali; punti di riferimento che tutti noi che ci troviamo  in cattedra dovremmo tenere presenti; regole del ben agire che riposano sulla ragione, e anche sul sentimento che ci lega ai bambini e ai ragazzi dei quali siamo chiamati a prenderci cura. Purtroppo, tuttavia, essere nient’altro che campioni, in ogni settore, compreso quello scolastico, non è possibile; ma l’argomento “scuola” è così delicato, trattandosi dei nostri figli, che pretendiamo dai maestri quel che magari noi stessi, nel nostro raggio d’azione, professione, mestiere, impiego, non diamo e non siamo. Insomma, nel caso dei docenti le pretese sono molto più elevate, in taluni casi stratosferiche: dove sono, ci si chiede, i maestri perfetti, i prof perfetti, quelli che sorridono ma preparano con serietà, si fanno amare eppure non lesinano le insufficienze quando occorrono; quelli che fanno sì che i nostri ragazzi parlino bene, scrivano ancor meglio, abbiano ottime basi di matematica,  si esprimano in un corretto inglese e per di più siano sereni e felici?

Dovremmo tenere presente che la natura umana fa sì che le caratteristiche tra gli individui divergano, per una specie di variabilità che, evidentemente, è necessaria all’equilibrio universale. Esistono persone che, per natura e carattere, sono già dei “campioni”, istintivamente; ogni categoria ha i propri fuoriclasse, i “normali”, i “medi”, i “mediocri” e gli “scadenti”. È come se in ogni settore, dal giornalismo alla chirurgia, dall’informatica fino all’estetica e al benessere, si tenga comunque una gara in linea i cui risultati non sono resi pubblici come nel caso della classifica di una competizione, ma che pure si colgono nella percezione altrui. Nel caso degli insegnanti  a stabilire la “classifica” sono gli alunni, i  genitori, i colleghi, i dirigenti, perfino la nomea popolare. Eppure quasi mai si possono scegliere  di nostro gusto (malgrado i ripetuti assalti ai dirigenti per ottenere la sezione desiderata), così come non si possono scegliere i genitori o i fratelli: e accontentarci di quelli nei quali ci imbattiamo  è più assennato, perché la scuola è e resta fondamentale, ma non è l’unico e determinante fattore nello sviluppo armonico di una personalità. Altrimenti non si spiegherebbero gli infiniti casi di insuccesso scolastico (forse dovuto a immaturità, oltre che a un scarso peso esercitato dagli educatori), e di diplomi strappati con i denti, col minimo dei voti, seguiti poi da brillanti risultati universitari e da carriere pienamente soddisfacenti.

Fortunato, comunque, chi ha come maestri dei “campioni”, o chi li ha avuti, perché la differenza la fanno. Eppure se questo, malauguratamente, non accade, dovremmo considerare che niente è perduto: la logica imperscrutabile della vita è altro rispetto ai nostri conti, alle nostre conclusioni, ai nostri rimpianti. Perché, tutto sommato,  la differenza tra una buona e una mediocre formazione di base dura per un tempo abbastanza breve, e per un tempo abbastanza breve manda effetti; se questo vantaggio iniziale, benché importante, non riceve un successivo e adeguato nutrimento, l’impronta del “campione” svanirà e diventerà una pallida traccia alla quale si attingerà nel momento di fare una citazione o di ricordare una data, e poco più.

Come dire: non sempre taglia per prima il traguardo una Ferrari, superando immancabilmente auto più modeste; il processo non è così meccanico; la strada è sempre un’avventura, e alla vittoria finale concorrono altre cause. Malgrado una scadente formazione ricevuta, spesso la motivazione la si sviluppa da soli, più tardi; e, del resto, ottimi maestri e ottimi professori, ovvero dei “campioni”, non hanno mai, da soli, prodotto alcun genio.

L’AUTRICE E IL LIBRO – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967. Nel 2016, sempre per Corbaccio, ha pubblicato La sorella di Schopenhauer era una escort, un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana. Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita. L’autrice, nata a Cattolica e cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino, oggi vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico-filosofica e romanzi storici.

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Quanto conta l’insegnante nella qualità dell’apprendimento? ultima modifica: 2017-10-02T05:31:42+02:00 da
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