di Maurizio Tiriticco, ScuolaOggi, 26.9.2016
Con la legge 107, invece, le scuole possono finalmente progettare il proprio Piano dell’offerta formativa in coerenza con le esigenze e le peculiarità dei territori e organizzarsi in rete, lavorando sinergicamente ed evitando un’inutile e dannosa frammentazione”.
Faraone non conosce la nostra scuola né la sua storia né le norme che la disciplinano. Con la legge 59/97 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) e il successivo regolamento applicativo in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, il dpr 275/99, il modello educativo uniforme è caduto. Gli articoli 4, 5 e 6 del citato dpr riguardano rispettivamente l’autonomia didattica, l’autonomia organizzativa e l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo. E le reti di scuole sono chiaramente contemplate dall’articolo 7. Per non dire che le scuole hanno piena competenza per la definizione dei curricoli. L’articolo 8, c. 2 così recita: “Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’offerta formativa, il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare, a norma del comma 1, la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte. Nella determinazione del curricolo le istituzioni scolastiche precisano le scelte di flessibilità previste dal comma 1, lettera e”. Per non dire poi che le Indicazioni nazionali (primo ciclo e licei) e le Linee guida (istituti tecnici e professionali) sono, appunto, indicazioni e linee operative e non hanno nulla di prescrittivo. I programmi ministeriali di un tempo, eguali per tutte le scuole del Regno e poi della Repubblica ormai non esistono più. Mi sembra che in tale materia la legge 107 e il nostro sottosegretario abbiano scoperto l’acqua calda!
Il discorso da farsi, invece, è un altro: la pericolosità che discende da una sorta di liberalizzazioni che sono state concesse alle istituzioni scolastiche con la legge 107. Ad esempio, l’assunzione dei docenti: a che vale avere vinto un concorso, se poi è il dirigente scolastico che, a seguito di una serie di colloqui, sceglie quel docente che, a suo vedere – per non dire della debolezza tutta italica relativa all’amico dell’amico – è più in grado di un altro di condurre il suo lavoro? Addio scuola pubblica dello Stato! E allora diamo addio anche ai concorsi! Assolutamente obsoleti a fronte degli eventuali capricci di un dirigente che sceglie chi vuole sulla base di un colloquio che potrebbe essere anche guidato, laddove l’amico dell’amico dell’amico vale molto di più di una laurea con lode e di un primo posto in una graduatoria. Si abbia allora il coraggio di abolire i concorsi a cattedre!
Si tratta di una liberalizzazione non dichiarata, ma di fatto, estremamente pericolosa, che comporta una progressiva differenziazione tra scuola e scuola, in ordine all’offerta formativa che propone. Da sempre la scuola pubblica statale è tenuta ad adoperarsi per raggiungere al meglio le finalità e gli obiettivi di cui alle Indicazioni nazionali e alle Linee guida… e soprattutto alle indicazioni costituzionali (artt. 2, 3, 9, 33, 34). Le “esigenze e le peculiarità dei territori” sono già da tempo considerate nell’offerta formativa di un istituto scolastico, che ovviamente è declinata senza però che siano modificate le vocazioni, le finalità e gli obiettivi che la “norma” gli conferisce. L’unica differenza tra il vecchio e il nuovo riguarda la programmazione che da annuale diventa triennale. Ma! I miei dubbi sono grossi così!
La programmazione ha un senso quando ha un durata annuale: l’insegnante “lavora” con quegli alunni e, sulla base delle indicazioni nazionali o delle Linnee guida, si propone quelle finalità e propone agli alunni quegli obiettivi. Tre anni sono troppi e un alunno in età evolutiva cambia di anno in anno, se non di mese in mese. Per non dire della variazione che si ha in un triennio nella composizione stessa di una classe. Una programmazione triennale può riguardare le finalità che un insegnante si propone, non gli obiettivi (il saper fare, se non le competenze) che sono proposti a un alunno. Chi ha progettato la programmazione triennale ne sa poco di scuola! I tempi lunghi riguardano un’azienda, almeno di una certa tipologia, non un’istituzione che ha a che fare con l’età evolutiva Il che non significa che un dirigente e i suoi insegnanti non debbano “guardare lontano”; ma con alunni che giorno dopo giorno – è tipico dell’età evolutiva – cambiano atteggiamenti, attese, comportamenti, è estremamente difficile proporsi una progettazione/ programmazione triennale.
Comunque, Faraone è un esperto di problemi di scuola e di età evolutiva e poi è anche sottosegretario di una ministra che, ovviamente – in quanto ministra – è più esperta di lui! E non ditemi che sono cattivello!!! Anzi, ditemelo!!!
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