di Anna Monia Alfieri Tempi, 19.12.2015.
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola
Carissimo Matteo, lo stile simpatico e friendly della sua ultima enews in onore della Leopolda 6 fa fremere la mia penna di quarantenne come lei, nel desiderio di risponderle… Devo. Questa non è una mail, ma una vera “lettera aperta a Matteo”, da parte dei Giovanni, delle Paola, dei Giuseppe, delle Agnese (beh, perché no? Se si parla di scuola…), da chi ha idee, sogni e critiche e anche da chi «crede che fare politica sia una cosa bella, un servizio a tempo, un impegno civile», nell’Italia che lei governa. Dunque – visti i mittenti e il destinatario – devo essere chiarissima, perché «ne va la vita!» (Manzoni).
Mi ritrovo molto nella sua tenacia, in quello sfrenato ottimismo che incoraggia e rilancia. Di ottimismo non è mai morto nessuno: ce ne serve molto per non soccombere all’ecatombe delle “buone idee” sull’altare del politically correct. Dica la verità: lei pensava di poter debellare questa insana caratteristica del Palazzo; ebbene, siamo ancora di là da venire. Infatti, a proposito di buone idee è con simpatia che ho guardato e guardo alla Buona Scuola sia nella modalità di consultazione, sia nella maratona che ha ottenuto la fiducia al Governo. Ottimo lavoro.Peccato che, la piazza fuori e il parlamento dentro, abbiano sforbiciato parti importanti della proposta di legge. I passaggi più coraggiosi. Quelli che riguardano nientemeno che i diritti della persona. Il diritto dei genitori e dei figli. Il diritto di essere liberi di scegliere l’istruzione secondo i propri princìpi. Il diritto di scegliere in una pluralità di offerta e il diritto di scegliere anche se si è poveri e handicappati. Anche il povero e l’handicappato devono poter scegliere la Buona Scuola pubblica. Lei, Matteo, ha studiato diritto, come me (io, per il lavoro che faccio, anche Economia), e capisce benissimo che se in un determinato corpus il principio che lo fonda è contraddetto nei fatti, tale realtà è destinata a fare la fine della facoltà di veterinaria a Napoli, tanto per esprimere visivamente il concetto.
In estrema sintesi: se la Buona Scuola pubblica italiana non sarà per tutti – poveri, handicappati, ebrei, cristiani, musulmani, rifugiati eccetera – non sarà. O sarà Scuola di Regime. Di più: non sarà proprio per niente! Distrutta. Caro Matteo, qui mi permetto di metterci un po’ del mio, da cultrice di economia: quanto pensa che possa durare la mungitura delle casse dello Stato, per una scuola che costa circa 8.000 euro di spese correnti per alunno (dall’Infanzia alla secondaria di II grado) all’anno? Quelle in c/capitale nessuno le sa, neanche al ministero dell’Istruzione. E gli 8.000 euro sono spalmati come un rullo compressore, come se tutti i corsi avessero lo stesso costo. Ad occhio, come si dice. Un tanto al pezzo.
Ci vuole un ragioniere
Caro Matteo (mi consenta: sono sua coetanea), in questo modo, di questo passo la scuola italiana non va da nessuna parte. Cioè: va in un baratro senza fondo, che trascina con sé non solo la sacrosanta libertà di scelta educativa prevista dalla Costituzione e dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, ma anche – fisicamente – la scuola in sé, i muri, le strutture, i banchi, le sedie, i computer, i docenti, tutto. Infatti arriverà il momento in cui i 56 miliardi di euro all’anno (e ogni anno di più) per tenere in vita questo mammut preistorico non ci saranno più. Finito. Morto.
Lei questo lo può sapere, meglio di me: vada dal Ragioniere Generale dello Stato. Qui nessun ministro saprebbe aggiornarla: ci vuole un ragioniere. Proprio per questo motivo, caro Matteo, la soluzione (o l’avvio serio di essa) non è difficile. Non dico che sia un gioco da ragazzi. Né lei né io lo siamo più. Non si illuda mettendosi i jeans. Da ragazzi no, ma da persone che ragionano e che fanno parlare i numeri a dovere, sì. Con due amici ci ho provato, e con la collaborazione di qualche ottimo dirigente del suo ministero dell’Istruzione… Già. Sappia che ha tra i suoi collaboratori (probabilmente non li ha mai neppure visti in faccia) gente non solo “in gambissima”. Di più. Gente che, pur lavorando strenuamente e con intelligenza, è come in una tempesta, con la barca che fa acqua, aggrappata con una mano al timone, mentre tiene la corda della vela con l’altra e cerca di tappare le falle con i piedi. Proprio questi mi hanno detto «era ora!» quando, con Maria Chiara Parola e Marco Grumo, ho presentato anche a loro il saggio Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, Giappichelli, Torino 2015. Forse non è tanto importante – chiedo scusa – che la puntuale prefazione l’abbia scritta il suo ministro Giannini.
Questo è il frutto maturo, la punta dell’iceberg: sotto c’è lo zoccolo sano dell’Italia, i dirigenti che pensano, che dicono: «Così non possiamo più andare avanti», l’intelligenza che ci riporta al sano ottimismo di cui si diceva sopra, sennò saremmo già ko da un pezzo! Ma la gente che pensa e i ragionieri che contano non bastano a salvare la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo, e quindi la scuola italiana. Quel saggio, in sostanza, dice: soltanto se arriviamo al costo standard per alunno, calibrato tenendo presenti tutte le possibili variabili delle diverse scuole pubbliche italiane, con una feroce definizione di tutte le spese possibili e tenendole tutte presenti, dai numeri per classe alla quantità di materie, dal bambino H gravissimo, ai progetti più eccelsi, dalla situazione di disagio sociale, alla scuola scicchina nel centro della grande città (ci sono, ci sono, Matteo, parlo di scuole pubbliche statali), dal liceo classico tutto d’un pezzo (ammesso che possa ancora esistere, ora i progetti più originali arrivano proprio da lì) all’Istituto Tecnico più avanzato e tecnologico, fatto salvo lo stipendio attuale e futuro – in crescita prospettica – dei docenti, soltanto se arriveremo a questo costo standard le casse dello Stato risparmieranno 17 miliardi di euro all’anno. Come minimo. E noti: per tutti i bambini e i ragazzi italiani iscritti in una Buona Scuola pubblica del Servizio nazionale di Istruzione, che come lei sa, conoscendo ciò che recita la L. 62/2000, comprende scuole pubbliche paritarie e scuole pubbliche statali. Infatti in tutta Europa, tranne che in Grecia, c’è una legge simile che recita e che attua la libertà di scelta educativa. In Italia, solo recita.
Se non ha ancora letto il saggio – a proposito, su www.fidaelombardia.it troverà le trentacinque ad oggi recensioni, interviste, telefonate, video, eccetera – lei può domandarsi: a quanto ammonterebbe il finanziamento ad personam che ciascuno studente italiano potrebbe indirizzare verso la scuola pubblica, paritaria o statale, da lui prescelta? Diamo un po’ i numeri. Ad esempio, il “prezzo” che lo Stato dovrebbe pagare all’anno per ogni studente della scuola dell’infanzia paritaria o statale sarebbe di 4.573,91 euro (se si tratta di uno studente appartenente a una famiglia non abbiente) e di 3.201,73 euro (per gli altri studenti). Il finanziamento sarebbe invece di 5.369,58 euro, se nella classe è presente uno studente con handicap.
Le cifre per la scuola pubblica primaria, paritaria o statale, sarebbero di 4.851,19 euro annui (se si tratta di uno studente appartenente a una famiglia meno abbiente) e per la scuola secondaria di primo grado (statale e paritaria) il costo annuo da finanziare sarebbe di 6.968,90 euro per ogni studente (non abbiente), mentre i costi relativi al liceo scientifico sarebbero: per il biennio 6.143,58 euro per studente (non abbiente) e triennio 6.452,10 euro (che diventano rispettivamente 7.069,13 e 7.377,64 euro se in classe è presente uno studente disabile). Con riferimento agli altri licei, si hanno valori più o meno simili. La fonte dei numeri, sui quali è calcolato il costo standard, sono l’Istat e il ministero dell’Istruzione. Numeri pubblici. Nessun Miurleaks!
Non vi servono 17 miliardi?
Lei comprende, caro Matteo, che la prospettiva di almeno 17 miliardi di euro risparmiati all’anno fa cadere nel ridicolo i balletti degli emendamenti proposti e ritirati fino a ieri. Qui è in gioco la sopravvivenza stessa della scuola pubblica italiana, nonché la sua qualità. Infatti, il sano occhio di lince dello Stato garante saprà pizzicare – quanto a scuole – chi spreca, corrompe, tira a campare (il ragionamento diabolico: guadagno poco, ma per sempre!), così come saprà premiare, aumentando il finanziamento per alunno, chi è trasparente, valorizza, approfondisce, crea cultura, in una parola: educa.
A questo punto, caro Matteo, ecco la domanda da un milione di dollari che con me le rivolgono i Giovanni, le Paola, i Giuseppe, le Agnese, i quali, sfortuna vuole, sono anche accasati e con figli che devono o vanno a scuola: visto ciò, che cosa aspettiamo? A quando il risparmio dei 17 miliardi all’anno? A quando la libertà di scegliere, per me che pago le tasse, la buona scuola pubblica, paritaria o statale, per mio figlio? Quando mi arriva ‘sto bonus del costo standard? So già dove spenderlo. Ho adocchiato la scuola!
Scuola. Caro Matteo, fatti due conti: non ti servono 17 miliardi? ultima modifica: 2015-12-20T08:06:17+01:00 da