Scuola, cenerentola di Stato

di Lucia Azzolina, Huffington Post, 15.4.2022.

Il governo ha fatto molte promesse: i numeri del Def dicono che la spesa per istruzione scende dal 4% del 2020 al 3,5% del 2025, in controtendenza con la media europea.

Gilda Venezia

Qualcuno aveva davvero creduto alle tante (troppe) promesse fatte sulla scuola nell’ultimo anno? Oggi, qualche giornale che aveva trionfalmente presentato questo governo come l’unico in grado – finalmente! – di dare priorità alla scuola, ha il coraggio di dire “scusate, abbiamo preso un cantonata”? Non mi pare. Ma sono un’inguaribile ottimista e attendo serafica. L’emergenza è stata dichiarata cessata e il rischio è che si sia portata via anche la pia illusione di aver capito e imparato qualcosa da questa spaventosa stagione. Le buone intenzioni si sono sciolte come neve al sole. Lo dicono i numeri. Nel nuovo Def, appena approvato, la previsione di spesa per l’istruzione scende dal 4% del 2020 al 3,5% del 2025.

Verrebbe da dire: fatta la legge, trovato l’inganno. Ok, il Def non è una legge. Ma è un documento strategico che dà l’indirizzo delle scelte economiche. Contiene cioè la visione, anche politica, delle cose e gli obiettivi di politica economica. Non è ancora tempo delle barricate: il documento di economia e finanza è collegato alla prossima legge di bilancio ed è lì che potremo/dovremo intervenire per correggere la rotta. Ma è evidente che il segnale è preoccupante. C’è la guerra? Sì. Il Pil è in contrazione rispetto alle previsioni di alcuni mesi fa? Sì. Sono giustificazioni legittime queste? No. La scuola torna ad essere la cenerentola di Stato e, dispiace, ma non c’è alcun principe all’orizzonte. È anzi un tremendo dejavù. Quando c’è da far cassa non si sbaglia: la scuola pubblica è sempre stata molto generosa. Neanche il tema della denatalità, utilizzato a parziale motivazione del taglio, può essere un valido argomento. Il calo delle nascite, e quindi il minor numero di alunni che si iscrivono, è un fenomeno su cui occorre fare un’ampia riflessione e che merita interventi decisi in favore delle famiglie. In vista di piani ambiziosi di politiche sociali, comunque va valutato ogni atto, che, partendo da una difficoltà evidente, offra opportunità tali da consentire, ad esempio, a parità di spesa, cioè a risorse invariate, di agire sulla riduzione del numero di alunni per classe. Semplificando al massimo: meno studenti iscritti ma stesso numero di docenti. Il problema è che la spesa non è affatto invariata, come detto è prevista una significativa contrazione.

Nel 2020 si stimava avessimo speso il 3,9% del Pil sul capitolo Istruzione. In realtà l’attuale Def certifica che l’investimento è stato persino più corposo: il 4%, uno 0,1 in più. Ora si torna indietro. In Europa la media della spesa pubblica destinata all’istruzione è il 4,7%. L’Italia si era avvicinata, oggi decide di salutare la compagnia. Sono anche un po’ stufa di ripetere che si tratta di una visione miope. Certo che lo è, ma per quanti mesi lo abbiamo già detto? Come si fa ad aver già dimenticato che il sistema scolastico, al pari di quello sanitario se non peggio, è arrivato totalmente impreparato all’appuntamento con la pandemia? Aule sovraffollate e senza il minimo distanziamento, istituti spesso inadatti, una classe docente poco formata, personale precario e poco pagato, dotazioni tecnologiche quasi inesistenti. Quanto fatto in poco più di un anno non era immaginato solo a carattere emergenziale. Abbiamo investito ingenti risorse, in svariate direzioni, anche con riferimento alla deroga rispetto alla determinazione del numero degli alunni per classe, pensando al futuro della scuola e, dunque, al futuro del Paese. Quello che oggi torna a mancare è proprio la volontà di investire nel lungo periodo. Di far cioè crescere e sviluppare il sistema.

Durante la stagione pandemica un’intera comunità si è aggrappata con le unghie alla passione di insegnanti e dirigenti scolastici, personale ATA, che svolgono la propria professione con abnegazione, con straordinario senso del dovere e all’impegno spesso quasi commovente delle famiglie. Finita la pandemia tutto rischia di tornare come prima. È davvero questa l’eredità che vogliamo consegnare alle nuove generazioni? È così che vogliamo declinare l’inflazionatissimo concetto di resilienza? E non si tiri fuori il Pnrr. Conosco bene il capitolo Istruzione del piano di rilancio europeo, è stato scritto sotto la mia guida ed approvato a pieni voti da Bruxelles. Sono 30 miliardi di investimenti strutturali ma non è uno strumento che può intervenire, a regime, sulla spesa corrente. Per intendersi: il personale. E invece è ciò di cui abbiamo bisogno ora: più docenti, più e meglio formati, reclutati con serietà e non “a crocette”, più pagati, con vere prospettive di sviluppo professionale, per avere classi meno numerose e studenti più coinvolti. Per immaginare ambienti di apprendimento e metodologie didattiche innovative e al passo con i tempi.

Avevo già scritto, sempre su questo giornale, che la scuola post pandemica sarebbe dovuta ripartire dalla riduzione del numero di alunni per classe. “Mai più classi pollaio, non è un sogno: ci sono le risorse e ci sono le idee”, scrivevo un anno fa dopo aver lasciato la guida del ministero dell’Istruzione. Mi devo correggere. Le idee ci sarebbero (e ci sono) ancora (io ne parlo da almeno quattro anni, altri per la verità hanno usato l’argomento come clava elettorale e oggi sono tornati ad infischiarsene), ma adesso vengono meno anche le risorse. E senza soldi non si fa niente.

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Scuola, cenerentola di Stato ultima modifica: 2022-04-15T21:26:52+02:00 da
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