Riforma

SCUOLA e FLAT TAX, un modello molto pericoloso per la Scuola della Repubblica

 di Fabrizio Reberschegg, dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 21.8.2022.

Il rischio concreto che la Scuola della Repubblica, statale e democratica, può correre con una introduzione di una riforma fiscale legata all’ideologia della flat tax è che, nelle more dei presunti effetti positivi sul bilancio dello Stato, si scelga ancora di tagliare, razionalizzare e privatizzare.

Nella campagna elettorale che si sta avvitando nelle consuete logiche della semplificazione dei contenuti mediante slogan sembrano centrali da parte di alcune forze politiche le spinte verso la cosiddetta Flat Tax con effetti tutti da analizzare. Flat tax significa tassa piatta, ma più correttamente si dovrebbe utilizzare il termine imposta piatta.
Nella sua versione più semplice la flat tax è un’imposta che moltiplica con una sola aliquota l’intera base imponibile, del tipo T= tY dove T è l’imposta in euro, t è l’aliquota unica e Y il valore della base. Questa imposta è proporzionale, ma è sufficiente introdurre una deduzione, cioè una riduzione del reddito prima dell’applicazione dell’aliquota, o una detrazione, cioè una riduzione dell’imposta dovuta, per rendere progressiva, ovvero con incidenza che aumenta all’aumentare del reddito, anche un’imposta ad aliquota unica.
L’equazione che meglio descrive la flat tax di cui di solito si discute è quindi T= t (Y –D) dove D è la deduzione e Y-D il reddito imponibile.
La deduzione potrebbe dipendere dalle caratteristiche del contribuente, ad esempio dal numero dei familiari. Se il reddito è inferiore alla deduzione, nulla è dovuto. Si crea in questo caso una No Tax Area, area di scaglione di reddito privo del pagamento di imposta, variabile a seconda della posizione dei contribuenti. Bisogna ad esempio considerare che la base fiscale sarebbe calcolata nei modelli più diffusi sul reddito familiare con un vantaggio per i contribuenti single o fintamente single.

L’idea della Flat Tax deriva dalle teorie neoliberiste di Milton Friedman e dagli studi di Laffer (anni ’50- ’70 del secolo scorso) che con la sua curva avrebbe dimostrato astrattamente che una riduzione della pressione fiscale avrebbe aumentato il gettito fiscale dello Stato.
Lasciando perdere le analisi macroeconomiche più tecniche e spesso contraddittorie un fatto è chiaro: nei paesi in cui è stata introdotta una tipologia di flat tax non è avvenuto alcun aumento significativo del gettito fiscale.
Anzi chi se ne è avvantaggiato è stata una quota della popolazione già abbiente. Il ridotto gettito determinato a livello di imposte dirette è stato compensato da incrementi delle imposte indirette (tipo IVA) o da riduzioni della spesa pubblica comprimendo i trasferimenti statali o federali per il welfare (sanità, scuola, previdenza).
Paradossalmente i paesi in cui sono state introdotte riforme basate sulla Flat Tax sono in gran parte concentrati nell’area dell’ex blocco sovietico (Lettonia, Estonia Ungheria, Ucraina, ecc.). In Russia l’aliquota unica è del 13% e non sembra che la maggioranza della popolazione ne abbia tratto vantaggio, anzi si è rafforzata una ristretta oligarchia finanziaria e militare legata all’autocrazia putiniana. La Federazione Russa ha compensato in parte la riduzione del gettito fiscale con politiche aggressive di esportazione di energia e materie prime.

In Italia si è cominciato a parlare di Flat Tax con il primo governo Berlusconi. Il teorico della prospettata riforma è stato Tremonti che legava i modelli di Flat Tax all riforma federalista dello Stato. Nel 1993 Tremonti parlava di una aliquota unica del 23% partendo da una No Tax Area.
Tremonti e Berlusconi non hanno cambiato modello nel 2022. L’effetto previsto è una riduzione del gettito fiscale di 30 miliardi. Salvini addirittura ha proposto una aliquota unica al 15%. In questo caso si prospetterebbe una riduzione del gettito fiscale di almeno 60 miliardi annui, ma Salvini promette, dopo l’ennesima sanatoria per evasori ed elusori fiscali, un ferreo controllo sulle dichiarazioni dei redditi che farebbero emergere parte importante dei 100 miliardi anni. Abbiamo già sentito in più occasioni litanie simili.
Ricordiamo che il costo per l’istruzione pubblica in Italia è di 50 miliardi. Il rischio concreto che la Scuola della Repubblica, statale e democratica, può correre con una introduzione di una riforma fiscale legata all’ideologia della flat tax è che, nelle more dei presunti effetti positivi sul bilancio dello Stato, si scelga ancora di tagliare, razionalizzare e privatizzare.
La Ministra Gelmini è stata nel passato la mano operativa di Tremonti con un taglio di 8 miliardi annui di investimento sulla scuola.

Serve sicuramente una riforma fiscale che riporti equità tra i contribuenti. In questo momento non pagano l’IRPEF quasi la metà dei contribuenti. I gettito fiscale è assicurato da lavoratori dipendenti e pensionati. Gli autonomi hanno già ottenuto per i regimi forfetari (fino a 65.000 euro di fatturato) una Flat Tax al 15%. Bisogna solo avere il coraggio di rimodellare le aliquote IRPEF esistenti riducendo la pressione tributaria sulla stragrande maggioranza di  lavoratori e pensionati.
Ogni promessa elettorale deve essere sostenuta dalle risorse necessarie a mantenerla. Nel caso dei lavoratori della scuola le promesse sono ancora nebulose.
I 300 euro lordi di aumento prospettati dal PD si riferiscono a due contratti di lavoro. Non sembra un gran regalo.

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SCUOLA e FLAT TAX, un modello molto pericoloso per la Scuola della Repubblica ultima modifica: 2022-08-21T05:01:43+02:00 da

Gilda Venezia

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