Scuola e lavoro, ma per quale mercato?

Gilda Veneziadi Massimo Pieggi e Sergio Ventura, VinoNuovo, 25 settembre 2025.

Il “ritorno” alla formazione scuola e lavoro avviene nel tempo in cui il mercato sarà centrato sul riarmo globale e, per noi, ciò rappresenta un grave problema etico ed educativo.

Gilda Venezia

Quest’anno, come era prevedibile, infurierà sulla scuola un forte vento. Al successo dello sciopero del 22 settembre hanno indubbiamente contribuito anche insegnanti, personale a.t.a., studenti e studentesse. Diversi per età, convinzioni politiche e religiose, appartenenze geografiche, tutti si sono ritrovati accomunati da un unico movente etico. Nella convinzione che la scuola come comunità educante abbia anche un ruolo nella formazione dell’opinione pubblica del paese (sempre nel rispetto della libertà personale di opinione e di scelta).

Alla buriana in corso potrebbe contribuire una situazione analoga in termini di valori in gioco, seppur di diversa gravità etica (soprattutto per la quantità decisamente minore di morte – e di morti – direttamente prodotta). Anche quest’anno, infatti, la scuola italiana deve fare i conti con una riforma pubblicata in piena estate e, come spesso avviene, non pensata né discussa insieme a coloro che devono poi applicarla e viverla. Si tratta della ridefinizione dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO) come Formazione scuola-lavoro, proprio per “evidenziare la stretta relazione che deve esservi tra formazione scolastica e mondo del lavoro” (comunicato ministeriale che relaziona sulle principali misure del D.L. 4-09-25).

Leggendo Il DM 133/25 del MIM (ministero istruzione e merito) e il DL del 4-09-25, l’intenzionalità del legislatore risulta però pienamente disvelata: si tratta di un’autentica ‘contro-riforma’ dei percorsi istituiti nel 2018 (L. 145/18) e attuati nel 2019 (DM 774/19). Questi percorsi erano stati pensati, a partire dalle richieste del mondo della scuola, sia per correggere le fallimentari disfunzionalità evidenziatesi (specialmente nei licei) durante il bienno 2015-2017 in merito all’Alternanza Scuola Lavoro (istituita dalla L.107/15 – più nota come la ‘Buona Scuola’ di Matteo Renzi), sia per ricondurre nell’alveo dell’Orientamento (vocazionale) il pur fondamentale momento pratico-esperienziale della verifica/valorizzazione della propria vocazione e dell’ambito lavorativo in cui cimentare i propri talenti.

Ora, però, il nuovo istituto della Formazione Lavoro ripristina ex abrupto le caratteristiche fondamentali della L. 107/2015, in assenza del minimo confronto non solo con i professionisti della scuola e le loro associazioni, ma anche con gli stessi ‘utenti’ (famiglie e studenti) e relative associazioni. I problemi, ovviamente, non nascono soltanto dal metodo seguito – che con le parole di Papa Francesco potremmo definire indietrista – bensì consistono anche e soprattutto nel merito perseguito.

La nuova configurazione dell’istituto, infatti, stravolge caratteri e finalità dell’esperienza formativa relativamente ai seguenti profili epistemologici:

1] filosofico e antropologico –

Il centro del percorso cessa di essere la persona umana in formazione (bildung), il rafforzamento riflessivo delle sue competenze umane trasversali (relazionali, civiche e sociali) e l’orientamento culturale (disciplinare e transdisciplinare, formale e informale): tutti finalizzati all’attingimento di una più profonda consapevolezza e conoscenza del sé, nella graduale costruzione del proprio progetto personale di vita. Tali finalità sono “trasformate” (per utilizzare la terminologia ministeriale) da un approccio materialisticamente orientato al mercato, secondo una razionalità puramente strumentale implicante – sin dagli iniziali processi formativi scolastici dell’adolescente – la reificazione della persona umana a merce di scambio. In luogo dell’essere umano in formazione, asse del processo (ora sempre più simile ad un ‘addestramento’) divengono: “i fabbisogni professionali del territorio”, “l’occupabilità”, “il lavoro e le imprese”, “la transizione verso opportunità di apprendistato”, “la realizzazione di un output tangibile, come un prodotto o un servizio, che risponda a un bisogno reale e abbia un impatto misurabile, dimostrando quindi di avere una capacità di generare valore aggiunto” (cf. D.M. 133/25 art. 2.).

Ed infatti, laddove il PCTO privilegiava l’affiancamento personalizzato dello studente in enti partner di ambito sociale, culturale, accademico, professionale, che consentissero una curvatura altamente personalizzata del processo di formazione, il reintegro della difettosa (alla radice) impostazione ASL sposta invece esplicitamente e ripetutamente l’orizzonte verso esperienze di natura massiva (cf. “efficacia e replicabilità della pratica in contesti territoriali differenti, senza perdere la propria funzionalità”, etc.) e imprenditoriale (cf. “tutor aziendale”, menzionato 2 volte; “in sinergia con le politiche locali per le imprese”, etc.). In tal modo, tra l’altro, si contraddicono le best practices in uso in tutti i principali sistemi di istruzione e formazione europei che ancora presentano l’opzione liceale all’interno dei propri curricula di istruzione secondaria superiore (principalmente quelli di lingua tedesca, francese e spagnola). Tali pratiche riconoscono l’esplicito orientamento e finalizzazione della formazione liceale alla preparazione del proseguimento degli studi in ambito accademico e universitario, ed escludono in tale indirizzo di istruzione superiore l’istituto dell’“alternanza scuola-lavoro” in ogni sua forma (c.d. sistema “duale”).

2] economico, educativo ed etico –

La teoria e i dati macroeconomici degli ultimi trent’anni hanno ampiamente mostrato il fallimento di una politica economica univocamente orientata:

  1. alla supply-side economics di impronta ideologica monetarista e neoliberista;
    .
  2. a una visione mercantilistica export-led non trainata da forti investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo di know-how culturale e tecnologico, ma esclusivamente perseguita mediante il dumping sociale (compressione delle dinamiche salariali e del rapporto redditi da lavoro vs. profitti e rendite, delle tutele dei lavoratori e della sicurezza sui luoghi di lavoro sino a raggiungere l’ultimo posto tra i paesi OCSE sotto il profilo delle retribuzioni, dei servizi pubblici essenziali alla persona, in special modo sanità e istruzione; aumento del gender gap e artificioso spostamento della fascia degli occupati da quella giovanile a quella anziana attraverso il forzoso trattenimento in servizio legato al progressivo aumento dell’età pensionistica);
    .
  3. alla compressione e mortificazione della domanda interna aggregata (crollo degli investimenti pubblici e del potere d’acquisto delle famiglie);
    .
  4. alla ‘miope’ strategia di desertificazione industriale, produttiva e manifatturiera (specie nei settori strategici ad alto know-how culturale e tecnologico) consapevolmente perseguita attraverso successive ondate di privatizzazione e delocalizzazione della produzione e dei servizi;
    .
  5. alla progressiva transizione verso settori occupazionali caratterizzati da basse qualificazioni e retribuzioni (overtourism, ristorazione e settori ricreativi), con l’unica eccezione (eticamente riprovevole) dell’industria di produzione degli armamenti (ultimo esempio: l’acquisizione nella partecipata statale Leonardo dell’area militare Iveco, seguita all’ennesima dismissione di un asset produttivo e tecnologico strategico del sistema-paese), che colloca l’Italia tra i paesi leader mondiali nell’export di armi – anche a governi sui cui rappresentanti pendono mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità da parte della Corte Penale Internazionale dell’Aja – e in quanto tale corresponsabile della distruzione di vite umane e dell’ambiente.

In questo contesto macroeconomico e sociale – il cui fallimento è stato confermato al Meeting di Rimini anche da chi, come Draghi o Vittadini, lo ha sostenuto fino all’ultimo e che costringe ogni anno 15mila giovani laureati high-skilled ad abbandonare il Paese verso mete estere – la reintroduzione dell’alternanza/formazione scuola-lavoro anche nel settore liceale sembra non poter sfuggire all’eterogenesi del fine di ‘addestrare’ gli studenti sin dalla giovanissima età a una strumentale logica di mercato, nella quale l’occupazione (anche se in crescita) corrisponde a lavori non più remunerati in modo degno, né qualificati, sicuri e stabili (artt. 35-38, Cost.), ma a lavori ormai privi di tutele e generalmente caratterizzati da precariato, sfruttamento e bassi salari. Ciò, ovviamente, è assai discutibile sotto il profilo etico ed educativo. Soprattutto se il mercato futuro sarà dominato da quello delle armi e se i corpi dei nostri giovani saranno merce di scambio per pallottole indifferenti a chi ha «lo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore».  Ci sarebbero, dunque, tutti gli estremi per una profonda e consapevole scelta di obiezione di coscienza, fondata sui principi e valori della carta costituzionale, nonché sulla ricca tradizione dell’insegnamento sociale delle Chiese (culminata nell’enciclica Laudato si’ e nell’esortazione apostolica Laudate Deum di Francesco, nel magistero ordinario di Francesco e Leone XIV, del patriarca ecumenico Bartolomeo I e dei responsabili delle chiese cristiane e delle altre religioni).

In ogni caso, alla luce di tale ‘contro-riforma’, ci chiediamo che fine faranno molti dei percorsi effettuati nei precedenti anni scolastici e vivamente apprezzati da studenti e famiglie (Cooperativa Roma Solidarietà, Casa di Pulcinella, Penny Wirton, Differenza Donna); o se potremo inaugurare percorsi nuovi come quelli proposti dalla rettoria maggiore dei Salesiani di Don Bosco (SDB) con sede in via Marsala a Roma. Nessuno (o quasi nessuno) di questi percorsi risponde ai requisiti dettati dalla nuova normativa riguardante la “Scuola-Lavoro” (inclusa la “replicabilità della pratica in contesti territoriali differenti”).

Sono, infatti, tutti percorsi di formazione e pratica civica e sociale, attentamente studiati e curvati sui bisogni formativi delle singole persone (studenti/esse) che si impegnano in essi, lontani da un modello di management massivo, standardizzato e uniformante. Il docente tutor interno mantiene costante contatto con ciascuna/o delle studentesse e studenti impegnate/i, nonché con il referente (tutor esterno) che li affianca (ruolo talora ricoperto corresponsabilmente da più di una figura all’interno del medesimo percorso, al fine di realizzare il massimo grado di personalizzazione e inclusione nell’accoglienza e accompagnamento dell’alunna/o ospitata/o).

Certo, immaginiamo che studenti, famiglie, colleghi e dirigente ci chiederanno di proseguirli, dato che sono percorsi pregni di attenzione personalistica ai bisogni formativi di studentesse e studenti (non necessariamente sovrapponibili ai “bisogni professionali del territorio”). Ma perché ciò dovrà avvenire non con il sostegno e il supporto della normativa di riferimento, ma in un certo senso contra legem? Perché ciò dovrà avvenire in modo tale da apparire una forma resistenza politica e non invece un virtuoso e reciproco arricchimento tra comunità scolastica locale ed istituzione politico-amministrativa centrale? A quale “albero” prodest questo ennesimo “frutto” che “sa” solo di scollamento istituzionale e di polarizzazione della comunità educante?

 

.

.

.

.

.

.

.

.

 

Scuola e lavoro, ma per quale mercato? ultima modifica: 2025-10-27T05:44:55+01:00 da
WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

GILDA VENEZIA - Associazione Professionale GILDA degli INSEGNANTI - Federazione Gilda Unams



Sito realizzato da Gilda Venezia