– postato da Roberto Bosio, Associazione Docenti Articolo 33, 9.5.2020
di Alberto Asor Rosa da “Repubblica”,
Ho insegnato in tutti gli ordini di scuola, dalla media (cosiddetta unica) all’Università. E, naturalmente, per arrivare a sedermi dalla parte dell’insegnante, ho fatto l’intero percorso sul versante opposto, in questo caso dalle elementari alle medie al ginnasio (una volta) al Liceo all’Università. Frutto conoscitivo ed esistenziale (per me) del doppio transito: io non credo che esista strumento pedagogico più straordinario, sia dalla parte dello studente sia dalla parte dell’insegnante, della classe. La “classe”! L’insegnamento è un gettito di notizie, informazioni, suggerimenti, suggestioni, indicazioni, comportamenti, esempi (sì, anche di esempi), che scende (almeno parzialmente) dall’alto sullo studioso-studente, che cerca di recepirne la maggior parte possibile e, se ne è in grado (e sempre più nel corso degli anni dovrebbe esserlo), la fa propria, l’assume e la rielabora, fino a realizzare un punto di vista proprio sempre più maturo e autonomo.
Parlerei di una vera e propria nebulizzazione del sapere, che scende da tutte le parti sullo studioso-studente e lo aiuta in tutti i modi a “sapere” e cioè a “crescere”. Ebbene, dove avviene tutto questo? Avviene in un’aula scolastica: e cioè, secondo me, in quella che per la tradizione e anche nel linguaggio comune si chiama ed è “la classe”. Cos’è una classe? È un insieme più o meno discreto d’individui giovani, generalmente coetanei, che seguono l’insegnamento di un gruppo di docenti, diversi per conoscenze e formazione, ma fortemente assimilati fra loro dal compito che di volta in volta sono chiamati a svolgere. Sarebbe possibile raggiungere gli stessi risultati, rinunciando a questo sistema di rapporti? Io non credo.
Per cercare di farmi capire, insisterò molto su di un punto, apparentemente secondario per molti sofisticati innovatori. La classe è un luogo fisico – ripeto: fisico – di rapporti, nel quale l’intersezione dei molteplici rapporti, cui ho fatto riferimento in precedenza, si verifica e vive. Vive: perché se si riducessero l’insegnamento e l’apprendimento ai loro valori puramente intellettuali, invece di crescere gli studenti sarebbero condannati a un’identità para-biologica estremamente elementare.
In una classe scolastica persino la pedatina che lo studente appioppa al suo compagno sotto l’ala protettiva del proprio banco, persino l’occhiata dell’insegnante che la percorre da cima a fondo per trasmettere un avvertimento, un suggerimento, un ammonimento, rappresentano materia costitutiva del sapere scolastico, mentre si forma, quando si forma per la possibilità concreta di essere e diventare un sapere. Insomma: la “comunità fisica” è un coefficiente indispensabile di una “comunità intellettuale” funzionante.
Desidero precisare in conclusione che quanto sono venuto finora sostenendo non intende suonare come una critica agli sforzi che si vengono compiendo a livello istituzionale per far fronte ai rischi presenti nell’espansione del coronavirus. Anzi, a questo proposito, non vedo come si possa sottacere l’impegno eroico che docenti di ogni ordine e grado hanno compiuto e stanno compiendo per tenere in piedi il sistema formativo italiano con videolezioni, videoconferenze, telefonate individuali. Centinaia di migliaia d’insegnanti lo hanno affrontato con dedizione straordinaria e competenze fuori del comune.
Ma le architravi del sistema non possono essere dimenticate nei momenti di difficoltà. Altrimenti le difficoltà prevarrebbero definitivamente sulle architravi del sistema; e questo sarebbe l’effetto peggiore fra quelli da esse prodotti.
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