ROMA – In arrivo la norma che salverà dal licenziamento i supplenti di lungo corso della scuola. Quelli con 36 mesi, anche non continuativi, di incarico all’attivo che secondo la Buona scuola, per il semplice fatto di avere accumulato tre anni di supplenza, non avrebbero il diritto ad un ulteriore incarico.

Una trovata legislativa del governo Renzi che risale al 2015 per rispondere alla condanna della Corte di giustizia europea nei confronti dell’Italia che rinnovava ad libitumi contratti ai supplenti, senza l’ombra di una stabilizzazione all’orizzonte. L’organo di massima giustizia lussemburghese sentenziò che i contratti protratti oltre i 36 mesi sono illegittimi. Perché, dopo tale durata, anche secondo la normativa italiana, il precario andrebbe stabilizzato.

Il comma della legge 107/2015 (la cosiddetta Buona scuola) incriminato è il 131: “A decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato” di insegnanti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) per la copertura di posti vacanti “non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi”. Una norma che i sindacati bollarono subito come una “aberrazione legislativa” che però dal primo settembre 2019 manderebbe a casa migliaia di precari. Per questa ragione il governo interverrà con un disegno di legge a firma del leghista Mario Pittoni che, di fatto, salverà dal licenziamento circa 5mila precari.

L’intervento reinterpreta la sentenza dell’Alta corte europea in maniera diametralmente opposta rispetto all’interpretazione che ne diede nel 2015 l’allora esecutivo: i precari “storici” vanno assunti non licenziati. Per questi ultimi il disegno di legge che verrà depositato la prossima settimana conterrà una via preferenziale verso la cattedra fissa. Non è ancora chiaro quale sia questa strada, ma ai 5mila supplenti col fiato sospeso poco importa: l’importante è che il licenziamento venga scongiurato. E a chi pensa che questa sia una ulteriore strada per accedere al ruolo Pittoni invia un messaggio chiaro: “Questa norma, non potrà essere sfruttata che da coloro che si trovano nelle condizioni previste dal comma 131 della legge 107/2015. Non sarà, insomma, una ulteriore fonte di precariato”.

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