Scuola post referendum: e se tornassimo al cacciavite?

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Anna Maria Bellesia, La Tecnica della scuola  5.12.2016

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– Dopo le dimissioni di Renzi, c’è da governare il post referendum. La maggioranza degli italiani non vuole più saperne del renzismo parolaio e leopoldino. Il mondo della Scuola in particolare aspettava questo momento per far sentire il peso di un coro di no.

Alcune fonti giornalistiche dicono che il presidente Mattarella sia al lavoro per un governo, diciamo di transizione, che ci accompagnerà alle prossime elezioni, cercando la collaborazione in particolare degli ex Dc, che adesso si trovano tanto nel Pd quanto nel centrodestra, con l’intenzione di ricucire le lacerazioni lasciate dalla sconsiderata campagna referendaria.

E se rispuntasse all’istruzione Beppe Fioroni, quello del “cacciavite”?  Fu ministro della pubblica istruzione dal 2006 al 2008, all’epoca del governo Prodi. Si trovò a governare una situazione con due maxi riforme opposte generate nel giro di un quinquennio, quella di Berlinguer e poi quella della Moratti. Pensò bene di non avviarne una terza, ma di lavorare di cacciavite, secondo alcune priorità, fra cui l’istruzione tecnico professionale e l’innalzamento dell’obbligo di istruzione.

Certo che in questa fase di transizione, qualche segnale distensivo al mondo della Scuola bisogna pur darlo.

La Scuola, apparentemente rassegnata,  proprio non ha mandato giù una riforma che ha dato il colpo di grazia alla Scuola istituzione, ai docenti che vi lavorano e alle stesse nuove generazioni, perché la finalità dichiarata è di formare non “cittadini” consapevoli, ma lavoratori “adattabili”, dotati delle “soft skills” funzionali alle esigenze del capitalismo 4.0, quello della quarta rivoluzione industriale.

Da Gelmini a Giannini, passando per Profumo e il governo Monti, al peggio non c’è mai stato fine. Prima l’Istruzione è stata considerata semplicemente come oggetto di contenimento della spesa pubblica, poi con Renzi-Giannini il colpo di grazia destrutturante.

Già alle elezioni politiche del 2013, la Scuola ha espresso un notevole malcontento per la scarsa considerazione ricevuta da Bersani nella campagna elettorale. L’allora segretario del PD aveva capito benissimo che non si potevano dare altri “ceffoni” ai docenti, ma niente ha fatto per cambiare tendenza. Diciamo che, se Bersani non vinse nettamente, fu anche per la defezione di una parte crescente del suo tradizionale elettorato, scontento del fiacco e non convincente programma sulla Scuola. Responsabile del settore Scuola del PD era la senatrice Francesca Puglisi, diventata subito dopo una dei più convinti sostenitori di Renzi e della legge 107.

Le parti assolutamente più indigeste della legge 107 riguardano la titolarità su ambito, la chiamata diretta con incarico triennale, la mobilità, la premialità con esigui bonus elargiti dai dirigenti, i super poteri dei dirigenti. Sono inoltre rimaste in sospeso molte deleghe importanti che potrebbero portare ad una attuazione spinta di quello che è stato impostato finora. Si va dal reclutamento alla valorizzazione della professione docente, dalla revisione dei percorsi dell’istruzione professionale alla valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, agli esami di stato, al riordino organico di tutte le disposizioni normative.

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