di Vincenzo Pascuzzi, Aetnascuola.it, 1.1.2019
– NO a regionalizzazione e incremento dei finanziamenti alle scuole private / mini dossier.
Nelle virtuose Regioni del nord infatti, il PSI teme che l’autonomia richiesta possa trasformarsi in un ulteriore incremento dei finanziamenti alle scuole private. Finanziare le scuole private, più o meno direttamente, significa indebolire ulteriormente lo sforzo che lo Stato italiano, come dettato dalla nostra Costituzione, compie per dare pari opportunità a tutti i cittadini.
Poi c’è il problema dei fondi, perché il passaggio del personale della scuola dallo Stato alla Regione aumenterebbe del 25% la spesa regionale che per essere coperta dovrebbe rivedere un meccanismo di federalismo fiscale che penalizzerebbe le già martoriate regioni del Sud, violando anche il principio di solidarietà e di sovranità nazionale.
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Luca Fantò (Psi). Scuola, un fine anno turbolento
di Luca Fantò – 27 dicembre 2018
Il PSI segue con apprensione quanto sta accadendo nel mondo della scuola in questi che dovrebbero essere giorni di riposo per il fin troppo sfruttato personale scolastico.
Mentre è positiva la firma del contratto di mobilità, preoccupano le notizie che giungono relativamente al ventilato blocco delle assunzioni e la minacciata regionalizzazione dell’istruzione pubblica.
Il contratto di mobilità infatti (almeno per il momento) stabilizza i docenti e pone termine alla chiamata diretta dei Dirigenti Scolastici e agli “ambiti provinciali” che di fatto stavano portando l’istruzione pubblica verso un processo di inaccettabile aziendalizzazione del sistema scolastico.
Purtroppo la questione precariato resta pesante. C’è assoluto bisogno di personale scolastico, in ogni settore, da quello degli operatori scolastici a quello del personale amministrativo e docente di ogni ordine. Paradigmatica dell’instabilità in cui versa la scuola statale è la situazione ancora irrisolta degli insegnanti precari di terza fascia e con anni di servizio sulle spalle.
Infine pende sull’istruzione pubblica la “spada di Damocle” della regionalizzazione. Una regionalizzazione che potrebbe scavare ulteriormente il solco esistente tra nord e sud del Paese ma soprattutto tra classi sociali.
Nelle virtuose Regioni del nord infatti, il PSI teme che l’autonomia richiesta possa trasformarsi in un ulteriore incremento dei finanziamenti alle scuole private. Finanziare le scuole private, più o meno direttamente, significa indebolire ulteriormente lo sforzo che lo Stato italiano, come dettato dalla nostra Costituzione, compie per dare pari opportunità a tutti i cittadini.
Luca Fantò
Referente nazionale PSI scuola
§ http://www.avantionline.it/luca-fanto-scuola-un-fine-anno-turbolento/
Luigi Gallo (M5S), no a regionalizzazione scuola. Anief plaude
Alla forte spinta che stanno producendo alcune regioni del Nord, in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, di cui si è parlato anche nell’ultimo Consiglio dei Ministri, giusto prima di Natale, per definire anche il percorso cronologico di quello che sembra un provvedimento legislativo destinato a compiersi, sono giunte in queste ultime ore le dichiarazioni contrariate da parte dell’on. Luigi Gallo (M5S), presidente della VII Commissione Cultura della Camera. Anief non può che avallare in pieno questa posizione critica: il sindacato ricorda che nel corso degli ultimi decenni, ogni tentativo di una autonomia regionale lesiva dei principi costituzionali – come ad esempio nella scuola trentina –in attuazione di questo dettato normativo è stato sempre bocciato dalla Provincia.
Poi c’è il problema dei fondi, perché il passaggio del personale della scuola dallo Stato alla Regione aumenterebbe del 25% la spesa regionale che per essere coperta dovrebbe rivedere un meccanismo di federalismo fiscale che penalizzerebbe le già martoriate regioni del Sud, violando anche il principio di solidarietà e di sovranità nazionale. Per il presidente nazionale dell’Anief,Marcello Pacifico, ci si adoperi piuttosto per produrre organici differenziati, sulla base di effettive esigenze territoriali, per incrementare occupazione e livelli di istruzione del Meridione, per ridurre i tassi di abbandono scolastico. Avallare la regionalizzazione non farebbe altro che incentivare il gap esistente tra località e regioni già vicine all’Europa e altre che, non certo per colpa loro, continuano ad essere fortemente distanti, non solo a livello geografio.
Il progetto della Lega di introdurre, in breve tempo, la cosiddetta “Autonomia differenziata”, dando attuazione all’articolo 116/3 della nostra Costituzione, metterebbe a rischio l’unità nazionale, perché si porrebbero seri dubbi sulla definizione dei servizi essenziali come asili nido, sostegno alla disabilità, trasporti, mensa scolastica e un fondo prerequativo per le regioni che hanno diritto a raggiungere livelli di servizi minimi per regioni e comuni: a sostenerlo, senza giri di parole, è l’on. Luigi Gallo, del M5S.
Il deputato pentastellato, che è anche Presidente della Commissione Cultura di Montecitorio, ha detto, anche nel corso di un’intervista a Repubblica, di condividere l’allarme lanciato dalla Svimez sull’autonomia differenziata e le diseguaglianze che ne deriverebbero: «Si. E credo sia un allarme fondato. Questo Paese è in colpevole ritardo a causa dei governi che si sono susseguiti dal 2001 in poi. Nessuno ha lavorato alla definizione dei servizi essenziali. Per l’istruzione stiamo parlando degli asili nido, dei trasporti, del supporto ai diversamente abili, della mensa scolastica. Se si realizza l’autonomia differenziata, senza la definizione dei servizi essenziali e dei consequenziali fondi perequativi dello Stato centrale per garantire i servizi essenziali a tutte le regioni, è sicuramente a rischio l’unità nazionale». Alla domanda se il suo partito di governo avallerà il disegno della Lega, l’on. Gallo ha infine risposto negativamente: “Il M5S non lo farà. Ha costruito la sua identità sulla capacità di ridurre la scandalosa forbice di ricchezza che esiste tra cittadini, territori e regioni. E’ questa la vera chiave di un nuovo sviluppo”.
Anief non può che avallare in pieno la posizione presa dall’on. Luigi Gallo, a nome di tutto il M5S: il sindacato ricorda che nel corso degli ultimi decenni, qualsiasi tentativo di attuazione di questo dettato normativo è stato sempre stoppato in tribunale. Con le sentenze n. 242/2011 della Consulta e della 107/2018, sono state stoppate, ad esempio, le norme della provincia autonoma di Trento, in particolare all’art. 92, c. 2bis, legge 5/2006 sull’inserimento in coda del personale iscritto in graduatorie diverse da quelle provinciali trentine e del “super servizio attribuito” al lavoro svolto nelle scuole trentine o ancora alla precedenza di accesso agli asili nido riservata ai residenti o lavoratori per almeno 15 anni nella regione Veneto.
Nell’ambito del processo di attribuzione (art. 117) delle competenze relative alle norme generali sull’istruzione (art. 116, lettera n) bisogna tenere conto del rispetto degli articoli 3, 4, 16, 51, 97 della Costituzione, come ribadito dalla stessa Consulta in tema di reclutamento degli insegnanti, residenza professionale e servizi legati ai soli residenti: un tentativo di questo genere è incostituzionale. Come lo è il ddl presentato dalla Lega al Senato, che introduce il domicilio professionale o ancora il divieto di trasferimento nella mobilità (per almeno 5 anni) del personale neo-assunto nella scuola ed introdotto nel contratto in via di approvazione: la norma viola, infatti, gli art. 3 sulla parità di trattamento e sull’uguaglianza sostanziale, 4 sulla promozione delle condizioni per la ricerca del lavoro, 16 sulla libera circolazione, 51 e 97 sul merito e il buon andamento della PA.
Il nuovo testo costituzionale 3/2001,voluto dal centrosinistra per contrastare le idee secessioniste della Lega Nord di Bossi, ha aperto comunque spazi per future, costanti e striscianti sovrapposizioni nell’esercizio di competenze legislative.
Come sembra già dimostrare la primissima fase applicativa che ha visto un alto tasso di conflittualità giudiziale innanzi la Corte costituzionale ,e ancora di più, se dovesse essere approvato il DDL sull’autonomia del Veneto e delle altre regioni settentrionali (la Lombardia in primis, ma si accoderebbero anche il Piemonte e l’Emilia-Romagna).
Un’Italia federale segnerebbe la fine dello Stato nazionale italiano così come era stato conquistato da Cavour, Mazzini e Garibaldi e così come disegnato dalla nostra Costituzione del 1948.Ci si richiama per il modello federale a Cattaneo e alla sua proposta di riforma liberale dello Stato sul modello degli Stati Uniti e della Svizzera. La legislazione e la amministrazione dei tipici servizi sociali (la istruzione, la cura della salute, i trasporti) fanno capo ai soli governi periferici quando non sono di regola demandati all’iniziativa di comunità locali o, spesso, di organizzazioni private o ecclesiastiche. Il governo centrale non ha il potere di imporre una imposta diretta sui redditi, che serva a ridistribuire in qualche modo la ricchezza per avvicinare le posizioni economiche di tutti i cittadini dell’unione.
Ma il problema storico dell’Italia e della sua debolezza è che è stato sempre divisa in piccoli stati, nonostante avesse una cultura e lingua comune. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” già declamava il nostro sommo poeta Dante Alighieri nel secolo XIII. Si dovevano perciò unire i piccoli staterelli italiani e formare un popolo, non unire debolezze a debolezze.
Cattaneo lo si può citare anche come precursore, insieme a Mazzini, dell’idea degli Stati Uniti d’Europa che sarà ripresa da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel manifesto di Ventotene del 1941 il cui sogno, realizzato parzialmente (l’Unione Europea che è più una confederazione di stati che una federazione) ha consentito agli stati europei di vivere in pace per più di 70 anni dopo che si erano combattuti a vicenda nella prima e seconda guerra mondiale, con milioni di morti.
La disgregazione dell’Europa Unita voluta dai movimenti neo-nazionalisti detti anche “populisti” ci riporterebbe indietro nella storia, così come la proposta autonomistica della Lega.
Altra cosa è l’autonomia scolastica. Intendiamoci: una cosa è il decentramento che mantiene un’unità nazionale nei programmi (indicazioni nazionali) e nelle retribuzioni professionali; altra cosa è avere tante scuole regionali differenti nella programmazione e nello status professionale.
Nella proposta autonomistica della Lega si rischia di sostituire al centralismo nazionale un “centralismo regionale” a scapito dell’autonomia scolastica che pur si era affermata.
I provvedimenti che aboliscono la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici e gli ambiti territoriali a favore di un potenziamento degli uffici scolastici provinciali ricostituisce di fatto un centralismo: se nazionale o regionale si vedrà. Nell’ultima ipotesi, ci potrebbero essere regioni che negano la frequenza scolastica ai figli di immigrati irregolari che dalla legislazione nazionale è garantita, così come qualche comune con sindaco leghista ha tentato di vietare la mensa ai bambini extracomunitari con richieste burocratiche di ulteriore documenti. Stiamo parlando del comune di Lodi che aveva cambiato il regolamento di accesso alle agevolazioni per le mense scolastiche chiedendo alle famiglie straniere di fornire documenti originali e traduzioni dai paesi di origine, circostanza che escludeva di fatto molti bambini stranieri dalle tariffe agevolate. Il tribunale di Milano ha stabilito che anche i cittadini non appartenenti all’Unione europea devono poter presentare la domanda per accedere alle prestazioni sociali con il modello Isee alle stesse condizioni dei cittadini dell’Unione europea; e con un’ordinanza ha chiesto al Comune di Lodi di modificare il regolamento.
E’ un esempio di quello che potrebbe accadere con legislazioni regionali differenziate. Per fortuna c’è la Costituzione del 1948 a difenderci da queste aberrazioni, a meno che non venga anch’essa modificata.
Già con il governo Monti (2011-2013) si è cercato di rivedere la riforma 3/2011, a causa dei crescenti conflitti dinnanzi alla Corte costituzionale. Si è proposto di integrare il primo comma dell’art. 117 in questo modo: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, con la precisazione: “Il legislatore statale adotta gli atti necessari ad assicurare la garanzia dei diritti costituzionali e la tutela dell’unità giuridica od economica della Repubblica” .
Nel caso di conflitti tra stato e regioni, si stabiliva quindi la supremazia dello Stato. La nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, disporrebbe che “nelle materie di legislazione concorrente le Regioni esercitano la potestà legislativa nel rispetto della legislazione dello Stato, alla quale spetta di disciplinare i profili funzionali all’unità giuridica ed economica della Repubblica stabilendo, se necessario, un termine non inferiore a centoventi giorni per l’adeguamento della legislazione regionale”.
Inoltre, l’art. 127, comma 1, nella proposta di riformulazione, ammetterebbe la possibilità di impugnazione governativa anche in seguito all’ “inutile decorso del termine fissato ai sensi dell’ultimo periodo del terzo comma dell’articolo 117”.
Per qualcuno era una controriforma del Titolo V, ma si trattava di inserire nel campo della legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che erano precedentemente considerate della legislazione concorrente: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia.
Il successivo governo Renzi ha ripreso il disegno di legge Monti riproponendolo nella proposta di riforma costituzionale detta anche “riforma Boschi”. La riforma, nata con un disegno di legge presentato dal Governo Renzi l’8 aprile 2014, si prefiggeva «il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione». Il testo di legge costituzionale approvato dal Parlamento italiano il 12 aprile 2016 è stato bocciato dal referendum popolare confermativo il 4 dicembre 2016. Così è rimasto il problema della conflittualità stato-regioni e la possibilità di attribuire alle regioni le materie spettanti allo stato fino al limite estremo del federalismo, con le conseguenze che abbiamo descritto. Sono visioni legittime entrambe: la supremazia statale con alcune funzioni decentrate ; la decentralizzazione delle funzioni statali a livello regionale creando di fatto uno stato federale. Occorre capire di cosa ci sia bisogno nella dialettica stato-regioni riconosciuta dalla nostra stessa Costituzione.
Si tratta, secondo noi, di attribuire alla legge statale un ruolo più duttile ed ampio nell’area della legislazione concorrente, prevedendo che spetti alla legge dello Stato non più di stabilire i problematici “principi fondamentali”, bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica, pena una sua frantumazione. Consideriamo l’unità d’Italia un bene fondamentale per la crescita economica ,culturale e sociale del Paese.
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