di Andrea Gavosto, Il Sole 24 Ore, 15.4.2020
– È ormai pressoché certo che il rientro a scuola avverrà dopo l’estate. Nella migliore delle ipotesi, a settembre, con l’inizio del nuovo anno. Ma non si può escludere, alla luce del rischio epidemico che comportano le concentrazioni di studenti, che per le scuole la Fase 2 inizi ancora più in là, come pure per le università.
Sappiamo anche che non sarà un rientro “normale”, almeno fino a quando non ci saranno il vaccino, o almeno le cure, per il virus.
In primo luogo, dopo l’estate potrebbero esserci nuovi focolai, che in alcune aree costringeranno a chiusure “a scacchiera”. E se anche ciò non avvenisse, il vero problema è che gli edifici, l’organizzazione della giornata scolastica e la composizione delle classi nella maggior parte degli istituti italiani non sembrano in grado di garantire il rispetto delle misure precauzionali che la Fase 2 richiederà. Innanzitutto, un distanziamento sociale adeguato a prevenire nuovi contagi, magari da soggetti asintomatici, come spesso sembra siano i giovani che contraggono il virus.
Il primo problema di distanziamento sociale riguarda già l’arrivo a scuola. Nel tragitto da casa, moltissimi studenti affollano i mezzi pubblici; arrivati davanti a scuola, inevitabilmente si creano assembramenti fra i più grandi e forse ancor più fra i piccoli, accalcati sui marciapiedi con genitori e nonni. Spesso, poi, l’accesso all’edificio avviene attraverso un’unica entrata; anche sulle scale e nei corridoi (come pure nelle mense) non sarà facile tenere distanziate frotte di ragazzi.
Il problema è ancora più serio in aula, dove si trascorrono molte ore. In Italia la numerosità media di una classe di scuola primaria è di 19 alunni (con l’8% sopra 24), alle medie di 21 (con il 14% sopra 24), alle superiori di 22 (con il 17% sopra 24, che diventa il 38% per le prime classi). Le norme in vigore dal 1975 (ma il 60% delle scuole è stato costruito prima e con criteri più angusti) prevedono che la superficie netta per studente prevista per le attività didattiche vari dai 1,80 mq dalle materne alle medie fino ai 1,96 mq per le superiori. Un semplice calcolo fa capire che la superficie indicata dalla normativa non sarà sufficiente a garantire il distanziamento sociale minimo (almeno un metro lineare, ma si parla di due nei bar e ristoranti). Per ottenerlo, tenendo conto che in aula i ragazzi devono muoversi e ci vuole anche spazio per il docente, servirebbero aule di dimensioni di non inferiori a 60mq, probabilmente di più. Ma non è questa – temiamo – la situazione delle scuole italiane.
Ad esempio, la lettura di una ricerca dell’Università La Sapienza e del Comune di Roma sulle scuole capitoline suggerisce che le dimensioni delle aule di rado superano i 50mq. A livello nazionale, però, i dati sono insufficienti e andranno migliorati se si vorranno prendere decisioni ben fondate sulla Fase 2 della scuola.
Per inciso, evocare il vecchio (e falso) problema delle classi pollaio, da sempre definite come quelle classi con un numero di studenti superiore al limite di legge, è fuorviante: secondo le stime del nostro «Rapporto» sull’edilizia scolastica, sono meno dello 0,5%. Il problema, oggi, è piuttosto lo spazio per allievo.
Come affrontare il problema? Credo che non si potrà fare a meno di alcuni ingredienti, con un mix diverso da caso a caso: forme di turnazione, per liberare spazi; una riorganizzazione del monte ore e dei quadri orari, in modo da scaglionare gli ingressi e le lezioni; un’estensione al pomeriggio delle lezioni e dell’impegno dei docenti. La didattica a distanza resterà presumibilmente una risorsa necessaria per altri mesi, con magari una parte della classe a turno in aula e l’altra a casa collegata online. Tutto sarà ancora più difficile per gli alunni di infanzia e primaria.
Su alcuni di questi temi, essenziali per i mesi a venire, è opportunamente intervenuta la ministra Azzolina, che ha proposto di ridurre il numero di allievi per classe: nelle prossime settimane si tratterà di capire come.
Supponendo che questi problemi vengano risolti, c’è un’altra ragione per cui la ripresa a settembre (o dopo) non sarà normale. Il decreto approvato 15 giorni fa prevede infatti di dedicare le prime settimane a un recupero a tappe forzate di quanto non è stato possibile fare quest’anno, con particolare attenzione a chi è rimasto indietro. Per farlo, servirebbe però avere tutti i docenti in aula dal primo giorno. Ma da anni ciò non avviene e nel prossimo andrà ancora peggio: il termine per le nomine in ruolo è stato infatti posticipato al 15 settembre e si prevede un numero record di supplenti, anche più di 200mila.
Perché non congelare la mobilità, facendo in modo che gli attuali insegnanti completino e consolidino nella stessa scuola il percorso avviato, anche attraverso la didattica a distanza, in quest’anno tormentato ed eccezionale? Il diritto degli studenti alla continuità didattica, a non avere lacune gravi negli apprendimenti e – per quelli più fragili – a non rimanere irrimediabilmente indietro mi sembra prioritario.
Andrea Gavosto, Direttore Fondazione Agnelli
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Scuola, un rientro problematico tra distanze e continuità didattica ultima modifica: 2020-04-15T06:28:30+02:00 da