di Vincenzo Pascuzzi, Aetnascuola.it, 25.6.2018

– Il ministro Bussetti conosce bene le cose di cui sto parlando, è un grande esperto di scuola e una persona che ho sempre sentito accanto nelle battaglia per la libertà di scelta educativa. Confido che si faccia carico della questione.
[Bugiardino. Viene ignorato l’art. 33, Cost; nulla si dice a proposito “Gruppo di lavoro sul costo standard dell’alunno” (D.M. 917/22.11.2017) presieduto dall’ex ministro Luigi Berlinguer. v.p.]

Il paradosso della scuola tutta diritti e Costituzione

di Caterina Giojelli – 25 giugno 2018

La follia di un sistema antidemocratico che costa, paga meno e rende nulla. La pasionaria della libertà educativa rivolge un appello al premier Conte e al ministro Bussetti

È la pasionaria del costo standard, del diritto alla scelta educativa e di apprendere senza discriminazioni, e ha «tre domande per il premier Conte e per il ministro Bussetti». Anna Monia Alfieri lo ha ripetuto tante volte: nella sterile contrapposizione tra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria, «tema ovviamente poco citato dai partiti in campagna elettorale, perché “chi tocca muore”», si lede il più naturale dei diritti: la libertà di scelta educativa dei genitori in una pluralità di scelta formativa. Argomento tabù. Ed è paradossale nell’epoca della scuola tutta tutela dei diritti e della Costituzione. Eppure è stato ampiamente dimostrato e condiviso dai ministri di ogni partito e colore – eccezion fatta per il M5S – che l’applicazione del costo standard supera ogni obiezione legittima («difendendo i “finanziamenti alle paritarie” ci siamo fatti per 20 anni la domanda sbagliata») o aprioristica in tema soldi e tagli, e che per applicarlo non servono riforme né rivoluzioni, basta dare piena applicazione «al diritto di apprendere dello studente italiano senza alcuna di tipologia di discriminazione economica ai sensi della Costituzione italiana». A questo si lega il diritto dei genitori (art. 30) di poter esercitare liberamente la propria responsabilità educativa, e questo non può avvenire liberamente «se non in un pluralismo educativo».

Ha detto che ha tre domande per il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.
Tre semplici quesiti, tre esempi concreti. Il primo: una famiglia, che ha pagato le tasse, vuole iscrivere il figlio nella scuola pubblica paritaria, che è una delle due gambe del Servizio Nazionale di Istruzione (l’ha detto un ministro due anni fa). La Costituzione afferma che è un diritto dei genitori. Ma questa famiglia non ha i soldi per pagare la retta. Che fa? Se la risposta è: “Si arrangi, lo iscriva alla scuola statale”, significa che in Italia si discriminano i poveri e che la scuola non è più un ascensore sociale: chi è ricco potrà permettersi di esercitare i suoi diritti, chi è povero no.
Secondo quesito: posso fare al premier e al ministro il nome e il cognome di un bambino diversamente abile che frequenta una scuola statale e che non ha l’insegnante di sostegno perché la signora è stata adibita a fare supplenza nelle altre classi. E badi che stiamo parlando di categorie protette. La mamma del bambino si lamenta con il dirigente scolastico; le viene risposto che “la scuola non può farci nulla, se vuole (sic!) provi a ripiegare sulla scuola paritaria. Qui da noi il docente di sostegno non è garantito”. Quindi: chi deve garantire un insegnante a questo bambino se non lo fa lo Stato? La famiglia, le altre famiglie, la scuola paritaria? Il premier ricordi che la scuola paritaria fa risparmiare sei miliardi di euro allo Stato, perché si fa carico da sola di alunni e docenti, e sono alunni e docenti cittadini italiani e che hanno pagato le tasse.

Il terzo?
Se la famiglia fa causa alla scuola paritaria perché non ha il docente di sostegno, il Tar la obbliga giustamente – essendo scuola pubblica, cioè per tutti – a pagarne uno. Ma questa dove trova i soldi? Lo prende, doverosamente, il prof. di sostegno, e lo paga, aumentando le rette, con conseguente sgomento dei genitori frequentanti, che già faticano a pagare la retta. E si tratta comunque di scuole che applicano una retta inferiore al costo medio di uno studente alle statali.

Ricordiamolo ancora una volta: chi definisce il costo medio di uno studente e a quanto ammonta?
Il ministero delle Finanze, che ha quantificato il costo di un allievo delle scuole paritarie in 6/7 mila euro contro i 10 mila euro di un allievo delle statali. Si capisce bene allora che applicando questi costi soffre non solo la scuola paritaria, che perde la libertà di scelta, ma soffre anche la scuola statale, che va verso il tracollo, sommersa dai debiti. Perché a fronte delle 150 mila infornate di docenti nello Stato siamo arrivati a un sovrannumero di domande per l’insegnamento di determinate discipline e cattedre vuote su altre. L’altro giorno un’amica mi raccontava che la classe di sua figlia non aveva il docente di chimica e quest’anno doveva fare la maturità: ebbene, il dirigente scolastico si è visto arrivare al posto di quello di chimica un docente di musica.  Tutto vero. Ma in quale sistema serio la domanda non incontra l’offerta? La scuola non è un ammortizzatore sociale. È necessario fare un censimento, certamente, ma di quali docenti abbiamo bisogno, per quali discipline e in quali città.

Negli ultimi otto anni, dal ministro Gelmini a Fedeli, il costo standard è stato al centro di tutti i tavoli del ministero. Eppure non è mai stato applicato. Come mai e con quali conseguenze?
L’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale del diritto all’istruzione e del diritto alla libertà di scelta educativa è quello di riconoscere una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria – sulla base di parametri certi. Questa battaglia giusta e laica ha sempre trovato consenso trasversale e gli studi sul costo standard sono stati fatti al ministero dell’Istruzione sulla base dei dati ministeriali. Gli unici a non promuoverla sono i Cinquestelle, che vogliono tagliare i fondi alle stesse scuole pubbliche paritarie tranne che a quella dell’infanzia. A loro ricordiamo che i fondi per allievo ammontano a 500 euro, quasi tutti spesi alla voce infanzia, e tagliare i contributi alle pubbliche paritarie (tranne all’infanzia) porterebbe ad un risparmio di 150 milioni di euro, contro una spesa che lo Stato italiano dovrebbe sostenere per assorbire questi allievi pari a euro 2.823.440.000. Un ottimo affare per lo Stato.

E il ministro cosa  ne pensa?
Il ministro Bussetti conosce bene le cose di cui sto parlando, è un grande esperto di scuola e una persona che ho sempre sentito accanto nelle battaglia per la libertà di scelta educativa. Confido che si faccia carico della questione.

Quali conseguenze ha questa situazione ingiusta e costosa per l’Italia?
Disastrose. L’Italia si conferma la più grave eccezione in Europa, dove ovunque è garantito il pluralismo e la libertà educativa (in Norvegia, Finlandia, Slovacchia e Svezia l’accesso alle scuole gestite sia dallo Stato che da privati è ugualmente garantito dal punto di vista del finanziamento per singolo studente), e si colloca al 47 posto al mondo. Non solo: i nostri ragazzi sono all’ultimo posto delle classifiche Ocse-Pisa. In altre parole, siamo il sistema più costoso con i docenti meno pagati e in fondo ad ogni parametro. Paesi come quelli del nord o la Francia hanno dimostrato nei fatti e con i numeri che mettere a confronto e valorizzare la concorrenza tra diversi sistemi educativi fa invece risparmiare allo Stato e innalza il livello di istruzione dei ragazzi.

Perché non si può parlare di libertà senza parlare di scuola liberamente scelta? 
Se parlassimo di scuola liberamente scelta, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie, per finanziare l’istituzione scolastica pubblica, statale o paritaria, da loro prescelta per l’istruzione dei figli. Ciascuna istituzione scolastica pubblica, statale e paritaria, riceverebbe tante più risorse quanti più studenti riuscirebbe ad attrarre per il proprio valore, generando una virtuosa concorrenza a vantaggio dell’intero sistema educativo. Scuole statali e scuole paritarie sarebbero incentivate a migliorare l’offerta formativa, a garantire la migliore integrazione con il sistema della formazione universitaria e con il mondo del lavoro, ad erogare efficaci servizi di orientamento e placement, per mantenere le risorse assegnate sulla base delle scelte di famiglie e studenti. Parleremmo di libertà, insomma. Invece in Italia cosa accade? Che i genitori non possono scegliere liberamente dove mandare i propri figli, gli studenti non vedono garantito il diritto di apprendere a causa di una discriminazione economica, e i docenti vengono discriminati perché non possono scegliere dove insegnare.

Ma la gente lo sa?
La mia preoccupazione è che le persone non sappiano che viene negato loro questo diritto. Che possono scegliere dove curarsi, dove e se morire, perfino battagliare per tutta una serie di diritti nuovi e di ogni genere per i loro figli, ma non vedere loro garantito il pluralismo formativo e la libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. Cosa resterà se non si salva la scuola libera? Resterà la scuola unica, cioè la scuola di regime.

Il paradosso della scuola tutta diritti e Costituzione

Con il costo standard di sostenibilità si garantisce un diritto inviolabile e si risparmiano 17 miliardi di euro. Ora la domanda è d’obbligo: Meglio la Buona Scuola per tutti o una Scuola Unica Buona? La famiglia italiana attende un cenno dal 1948

La “priorità alle scuole paritarie” è attribuita dal Corriere, non dal ministro Bussetti

“iPerché” di Impaginato, risponde suor Anna Monia Alfieri: scuola e cattedre non sono ammortizzatori

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Scuole paritarie, che cosa ha detto il ministro Fedeli sul costo standard

 

 

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