Si tratta di una lettera aperta sulla Costituzione (pubblicata su Il Fatto Quotidiano lo scorso 8 giugno)  in cui, commentando alcuni passaggi del discorso di insediamento al Senato, vengono richiamate all’attenzione del premier alcune questioni fondamentali, nella forma della domanda aperta: “Poichè Lei assegna al Suo governo ‘l’obiettivo di dare concreta attuazione ai valori fondanti della Costituzione’ non crede che fra questi avrebbe potuto richiamare anche l’art. 9 (promozione della cultura e della ricerca, tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione)? Crede che il Suo vago accenno alle ‘nostre scuole e università in grado di formare eccellenze assolute’ basti per delineare una politica della scuola, dell’università, della ricerca in linea con gli articoli 9, 21, 33 e 34 della Costituzione? Il Suo governo intende proseguire nella politica di tagli alla scuola pubblica e finanziamenti alla scuola privata, che secondo l’art. 33 (comma 3) dovrebbero essere ‘senza oneri per lo Stato’? Che posizione ha il Suo governo rispetto al drammatico de-finanziamento delle nostre università ed enti di ricerca, che mette l’Italia in coda all’Europa? E’ proprio sicuro che fine della ricerca sia, come nel Suo discorso, ‘mantenere in Italia le filiere produttive’, o non valeva forse la pena di ricordare il ruolo della ricerca fondamentale? E come si interpreta l’assenza, nel Suo discorso, di ogni accenno al precariato e al sottoimpiego nelle università, un settore che Lei certo conosce personalmente assai bene? Ci sono, nel Suo discorso, Signor presidente, passaggi condivisibili, come quello sulla sanità pubblica, che sembrano presupporre i relativi articoli della Costituzione (nella fattispecie, l’art. 32). Ma allora come mai vi manca non solo la citazione dell’art. 9 Cost., ma ogni pur minimo accenno alla cultura e alla tutela del patrimonio artistico e paesaggistico del nostro Paese?”

Nel silenzio assordante delle istituzioni, del Governo e del Parlamento, del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Istruzione rispetto alle questioni poste, il professor Settis rincara la dose e, a distanza di un mese, pubblica l’articolo che qui riproduciamo.

In una scuola e una università sottoposte al molecolare processo di deculturalizzazione che è sotto gli occhi di tutti, non possiamo non accogliere queste parole come un efficacissimo disvelamento ma anche come un potente monito a reagire. La posta in gioco è altissima.

Non si tratta semplicemente – e drammaticamente – di immaginare un futuro di lavoratori scarsamente qualificati ma disponibili e flessibili perchè ignoranti e inconsapevoli. Nè di paventare un mondo in cui ad una massa non più istruita nè educata – nel senso etimologico del termine – attraverso processi di acquisizione culturale e formazione critica, ma semplicemente addestrata alle nuove forme di produzione e consumo, che non sarà più in grado di esercitare alcun diritto di cittadinanza nè di svolgere percorsi autonomi di soggettivazione, corrisponderà una piccola élite che avrà gelosamente coltivato i tesori dell’ingegno e della fantasia umani.

Se continuiamo così, se rinunciamo per sempre alle conoscenze (tangibili, profonde, concrete e utilizzabili per vivere, per capire, per scegliere, per cambiare, per agire nel mondo) in nome di competenze aleatorie, volatili, indistinte, contingenti, effimere, perchè legate aun problem solving di corto respiro;
se continuiamo a barattare la teoria, la speculazione matematica o filosofica, lo svolgimento diacronico della storia e delle storie, la dimensione concettuale o astratta del pensiero, dell’immaginazione, della riflessione scientifica, dell’elaborazione artistica, con la mistificazione della pratica senza ragionamento, dell’esercizio senza la regola, del ‘saper essere’ (cosa, poi?) senza sapere, del ‘compito di realtà’ senza la finzione dell’immaginario più utopistico o inverosimile;
se rinunciamo a difendere lo studio delle materie artistiche, storiche, filosofiche, letterarie – classiche e moderne -, il culto di discipline storicamente ed epistemologicamente fondate, che possono fare di noi non solo un filosofo, un poeta o un pittore ma anche un ingegnere, un fisico, un informatico, un progettista più colto, più sensibile, più attento, non più esperto o competente ma semplicemente più umano,
ecco, io credo che se noi rinunciamo a tutto questo, noi rinunciamo al pensiero simbolico che ci contraddistingue come esseri umani:

“Centinaia di milioni di anni di evoluzione hanno prodotto centinaia di migliaia di specie dotate di cervello e, di esse, decine di migliaia manifestano complesse capacità comportamentali, percettive e di apprendimento. Solo una si è interrogata sul proprio destino, perchè solo essa ha evoluto la capacità per farlo. Una facoltà che non è un semplice modo per comunicare ma è la rappresentazione all’esterno di un insolito modo di pensare: la rappresentazione simbolica” (Terrence W. Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, Giovanni Fioriti Editore, 2001)

Primo ministro, ministro dell’istruzione, aspettiamo la vostra risposta.

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