Il 6 aprile 2009, l’Italia assistette ammutolita alla tragedia del terremoto dell’Aquila. Grandissima la devastazione, tanti i morti, tra i quali tre studenti del Convitto Nazionale Cotugno, ai quali si aggiunsero due feriti. A sei anni dal luttuoso evento, la giustizia ha fatto il suo corso. Dopo l’assoluzione in primo grado e la condanna in appello, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili il ricorso del dirigente scolastico Livio Bearzi e del dirigente della provincia dell’Aquila, Vincenzo Mazzotta, confermando la condanna alla reclusione di quattro anni per il primo e due anni e mezzo per il secondo.
Le sentenze della magistratura si rispettano, ma certo è difficile non considerare quanto sia carente la normativa in materia di edilizia scolastica e quanto poco lo Stato faccia per garantire la sicurezza di alunni ed operatori. Il dirigente scolastico, considerato responsabile della sicurezza, e, sotto questo profilo, datore di lavoro, di fronte al degrado delle strutture edilizie, dispone, in pratica, del solo potere di sollecitare gli enti locali, la cui capacità di intervento, peraltro, è condizionata dai finanziamenti statali e dalle regole del patto di stabilità. Il succedersi di avvenimenti luttuosi, assieme ai tanti incidenti che funestano la vita quotidiana delle scuole, fortunatamente senza degenerare fino ai limiti estremi, hanno indotto i governi italiani (Letta e Renzi) a varare un piano edilizio , ma ciò lascia inalterata la questione di fondo: è giusto sancire la responsabilità di funzionari e diri genti per questioni di sicurezza, per le quali non dispongono di poteri di spesa? Forse non è giusto in assoluto, figuriamoci di fronte ad un terremoto.
Approfondimento:
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