Pasquale Almirante, La Tecnica della scuola, 3.7.2017
– A giorni il ministero dell’Economia dovrebbe dare il via alla direttiva “madre” della Funzione pubblica, dedicata alla pubblica amministrazione centrale (ministeri, fisco, enti pubblici e così via), che sarà replicata più o meno fedelmente in amministrazioni territoriali, scuola e sanità.
Tuttavia, spiega Il Sole 24 Ore, questa operazione “cancellerà i risparmi dell’unica voce di spesa pubblica corrente che in questi anni è diminuita davvero: la spesa per il personale”.
Infatti, secondo l’Istat, “le pubbliche amministrazioni hanno dedicato al personale 164,1 miliardi di euro, cioè il 3,3% in meno dei 169,6 miliardi spesi alla stessa voce nel 2011. Il risparmio nominale, insomma, è stato di 5,5 miliardi. L’accordo firmato con i sindacati il 30 novembre scorso promette aumenti medi da 85 euro al mese, che con i contributi producono un costo intorno ai 110 euro, cioè 1.430 euro per 13 mensilità. Per garantirlo ai 3,26 milioni di dipendenti pubblici in servizio servono circa 4,7 miliardi all’anno: aggiungendo al conto l’allargamento del turn over, che in pratica triplica gli spazi per le assunzioni nei Comuni con conti e organici in ordine, e le promozioni interne sbloccate dalla riforma, superare i 5 miliardi non sarà difficile”.
Si chiede Il Sole: “dove devono andare a finire gli 85 euro di aumenti promessi?”
La busta paga dei dipendenti statali è divisa in due grandi voci:il tabellare, cioè la parte fissa uguale per tutti i dipendenti che fanno parte della stessa «posizione economica», e le componenti accessorie,
I sindacati hanno puntato per un incremento salariale di 85 euro esclusivamente al trattamento tabellare, ma aumentare le voci collegate alla produttività dedicando tutti i soldi al tabellare non è semplice.
Da risolvere c’è poi la faccenda del bonus da 80 euro, che scende progressivamente quando il reddito va da 24mila a 26mila euro e può essere azzerato dagli aumenti contrattuali.
“Gli 85 euro si traducono infatti in 1.105 euro lordi all’anno, che porterebbero fuori dal raggio d’azione del bonus chi oggi ha redditi intorno ai 25mila euro. Il diritto al bonus si misura con il reddito complessivo e non solo con quello da lavoro dipendente, per cui è praticamente impossibile identificare ex ante la platea da tutelare”.
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