Stipendi

Stipendi differenziati per gli insegnanti in base al costo della vita

inviato da Giulia Padovan, 8.12.2023.

Il solito tentativo di ritorno alle gabbie salariali senza affrontare i reali problemi di fondo.

La Camera dei Deputati ha votato nella  notte del 6 dicembre  un ordine del giorno proposto dal leghista Giaccone che recita: «sarebbe auspicabile per alcuni settori, come ad esempio nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione che da una retribuzione uguale per tutti passi a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività. L’odg è stato votato da tutte le forze di maggioranza e ha visto contraria tutta l’opposizione».

Tradotto ai minimi termini la maggioranza auspica un ritorno per alcuni comparti del pubblico impiego alle vecchie gabbie salariali. Si dovrebbe partire da una quota salariale uguale per tutti a livello nazionale con CCNL per poi implementare la contrattazione di secondo livello (regionale? provinciale?) che consentirebbe di riconoscere una maggiore retribuzione ai lavoratori che lavorano in aree in cui il costo della vita è maggiore. E’ un antico sogno di Bossi. E’ ora una accelerazione degli effetti distorsivi che porterebbe l’autonomia differenziata regionale.

Una maggioranza che ha bocciato di fatto la proposta di salario minimo si rende ora disponibile ad una profonda revisione del mercato del lavoro che spaccherebbe il Paese mettendo il Nord contro il Sud e frantumerebbe tutta la contrattazione sindacale a livello territoriale.

Si tratta di una ipotesi inaccettabile. La realtà che tutti conosciamo è che il mercato immobiliare degli affitti e dei mutui è oggetto di una bolla incrementale che sta mettendo in ginocchio il potere reale dei salari in alcune aree urbane di tutto il Paese. Il problema non è solo italiano. Simili dinamiche si riscontrano a Londra, Parigi, Berlino e in tutte le grandi metropoli europee.

I governi non hanno il coraggio di affrontare la questione delle locazioni per motivi di lavoro e il tasso dei mutui per acquisto di una casa per stabilirsi lontano dalla residenza di origine.

A Milano una casa in affitto in zona semicentrale costa al mese dai 1100 ai 2000 euro, in zone periferiche minimo 800-900 euro. Uno stipendio di un insegnante monoreddito è in media di 1400 euro mensili. Se si devono pagare bollette, utenze e trasporti non resta nulla e non si può immaginare che persone di trenta-quarant’anni debbano convivere con estranei per sopravvivere in città. Alcuni buontemponi invitano questa parte della popolazione  a sposarsi e a mettere in comune il reddito. Si può fare, ma non si immagini che con entrate di poco superiori a 2000 euro poi si facciano figli o si accenda un mutuo. Si tratta sempre di lavoro povero.

La soluzione più ovvia sarebbe quella di favorire il mercato degli affitti abbassando la tassazione per i proprietari che offrono ai lavoratori appartamenti adeguati, con ad esempio una cedolare secca del 5% di durata di almeno 5 anni calcolando il canone sulla base dei patti territoriali che ora prevedono massimali agli affitti con contratti 3+2. La soluzione più ovvia sarebbe quella di monitorare realmente e limitare, anche alzando in modo sensibile la tassazione, gli affitti turistici che a Milano, Roma, Firenze, Venezia, ecc. stanno togliendo dal mercato della residenza parti importanti degli immobili ad uso abitativo.

Le soluzioni si possono trovare senza grandi sforzi, anche con politiche di riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico abbandonato o sottoutilizzato o con interventi di nuova non invasiva edilizia popolare. I soldi del PNRR dovevano servire a quello.

Sembra invece che, in nome del principio del “non mettere le mani nelle tasche degli italiani” si garantisca ancora che le rendite immobiliari siano usate per ridurre il salario reale dei lavoratori lagnandosi poi del fatto che nessuno vuole fare l’insegnante o l’operaio a Milano e a Roma.

Una situazione che dimostra l’incapacità delle classi di governo attuali italiane ed europee di farsi carico di politiche di equità e di redistribuzione.


 

In tarda notte si è consumato alla Camera dei Deputati un vero e proprio blitz della Lega, con il quale è stato approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a differenziare gli stipendi tra docenti del nord e docenti del sud sulla base del costo della vita. In sostanza l’introduzione delle cosiddette “Gabbie Salariali”.

L’ordine del giorno è stato presentato dall’onorevole leghista Andrea Giaccone ed è stato approvato da tutta la maggioranza (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia), contrarie tutte le opposizioni. Il Governo per bocca del sottosegretario al lavoro, sempre leghista, Claudio Durigon, ha espresso parere favorevole. Gli ordini del giorno molto spesso lasciano il tempo che trovano, ma vista l’adesione di tutta la maggioranza la proposta potrebbe prendere corpo in poco tempo.

La proposta prevede di introdurre una “quota variabile” di stipendio per i dipendenti pubblici della scuola (docenti e personale ATA), sulla base del luogo di attività. L’obiettivo è quello di differenziare gli stipendi in base al diverso potere d’acquisto nelle varie regioni d’Italia.

Di seguito il testo integrale:

“La Camera,

premesso che:

il provvedimento all’esame delega il Governo a legiferare in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva al fine di garantire ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi e contrastare fenomeni di lavoro sottopagato, lavoro nero o irregolare e/o di dumping contrattuale;

ricordato che:

la Direttiva 2022/2041 del 19 ottobre 2022, nello stabilire nuove norme che promuovono salari minimi adeguati al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori in Europa, non ha previsto, contrariamente a quanto si vuol far credere, un obbligo di introduzione del salario minimo nei Paesi che ancora non lo prevedono, bensì impone agli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva è insufficiente di prevedere un quadro per la contrattazione collettiva e di istituire un piano d’azione per promuoverla per garantire che i salari minimi siano fissati ad un livello adeguato;

considerato che:

il disegno di legge in esame si propone l’obiettivo di incentivare la contrattazione di 2° livello, tenendo conto delle diversificate necessità derivanti dalle differenze del costo della vita su base territoriale;

ritenuto che:

il tema del costo della vita e delle retribuzioni adeguate è principalmente sentito nel settore del pubblico impiego, laddove lo stipendio unico nazionale può comportare disuguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo;

valutato che:

impegna il Governo

a proseguire nello sforzo di garantire retribuzioni proporzionate e sufficienti, valutando l’opportunità di prevedere con apposito provvedimento un intervento sulla contrattazione del pubblico impiego nella direzione esplicitata in premessa.

Sulla questione interviene Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato: “Si vuole dare la possibilità alla contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale, di utilizzare il parametro del costo della vita, oltre a quelli già previsti per legge, nell’attribuzione dei trattamenti economici accessori ai dipendenti pubblici e privati. Chiaramente, il principio della parità retributiva non viene meno. Parliamo infatti di trattamenti economici accessori, che possono essere così riconosciuti ai dipendenti valutando anche il diverso impatto che l’incremento dei costi dei beni essenziali ha sui cittadini, così come si evince dagli indici Istat. Nella grandi città dove l’inflazione ha degli effetti differenti rispetto ad altre zone del nostro Paese. Introduciamo con questa norma un elemento nuovo, attribuendo ai lavoratori una somma differenziata in base al luogo in cui ha sede l’azienda, prevedendo per i datori di lavoro privati un credito d’imposta per coprire le spese sostenute. Riteniamo sia una proposta di buonsenso”.

L’Onorevole Marco Sarracino del PD, si è mostrato fortemente preoccupato per le disuguaglianze che potrebbero scaturire differenziando gli stipendi tra nord e sud. Elly Schlein ha sostenuto che “Il governo ha dato il via libera all’ordine del giorno che sostanzialmente mette nero su bianco che che un insegnante al Sud debba prendere di meno rispetto a un insegnante al Nord.

 

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Stipendi differenziati per gli insegnanti in base al costo della vita ultima modifica: 2023-12-08T04:46:59+01:00 da
Gilda Venezia

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