di Fabrizio Reberschegg, dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 15.11.2021.
La scuola deve essere un’Istituzione in cui si coltivano non solo la cultura dei diritti, ma anche quella della responsabilità e dei doveri. A volte però prevalgono mode e comportamenti non adeguati, in nome di una “libertà” astratta finta, e senza limiti.
Il caso del Liceo Marco Polo in cui una collega di educazione fisica si è resa rea di aver cercato di evitare l’uso dei top da parte delle studentesse in palestra dimostra che spesso il buon senso non esiste nelle aule scolastiche.
La scuola dovrebbe essere un’Istituzione e uno spazio in cui si deve coltivare non solo la cultura dei diritti, ma anche quella della responsabilità e dei doveri. E’ supposizione stupida pretendere di usare a scuola abbigliamenti inadeguati per un ambiente che dovrebbe garantire un minimo di decoro e di rispetto nei confronti della sensibilità di tutti.
Ricordo che in tanti paesi a livello mondiale si usa ancora la divisa proprio per evitare differenziazione esteriore di comportamenti, di reddito e di ceto. In Italia abbiamo scelto un’altra strada, ma ciò non significa che la scuola debba riprodurre passivamente l’estetica e la moda imposta da una parte della società e dall’economia dei brand.
Chi scrive ha partecipato in passato a tante lotte per liberare la scuola dalle incrostazioni di un’etica imposta da una cultura chiusa e autoritaria. Ricordo di essere stato sospeso per essermi azzardato a lasciar crescere i capelli alla John Lennon. Erano tempi bui e siamo riusciti a cambiare tanto del “comune sentire” che ha caratterizzato un’epoca che sembra ormai parte di una storia dimenticata. Il sistema economico e politico è riuscito a metabolizzare nel corso degli anni tanti comportamenti considerati “antagonisti” e “radicali” modificandoli e trasformandoli in occasioni di profitto e sfruttamento.
Nella scuola abbiamo visto di tutto: allievi ed allieve brandizzati o vestiti da discotecari, da punk firmati, da new age, da grunge, da new romantic, da maneskizzati, ecc. Forse tornare a pretendere un po’ di discrezione e “decoro” nelle aule scolastiche non dovrebbe essere considerato una bestemmia. Del resto quando si va in Parlamento è d’obbligo portare giacca e cravatta ed evitare minigonne vertiginose.
E’ un segno di rispetto per l’Istituzione che deve rappresentare tutti i cittadini, anche quelli che possono essere considerati da qualche bacchettoni e retrogado. Serve solo un po’ di buon senso.
La collega di educazione fisica ha cercato di introdurre un minimo di separazione tra scuola e palestra privata, tra l’istituzione scolastica e la società liquida dei comportamenti e delle mode. Forse ha sbagliato giustificando il proprio ammonimento con l’esigenza di evitare che i maschietti si eccitassero sessualmente, cosa che in altri contesti possono fare anche senza i top in una palestra scolastica. E sicuramente le ragazze, che sono riuscite con minacce di sciopero e di manifestazioni ad ottenere il ritiro di qualsiasi provvedimento restrittivo sui top, non si rendono conto di un concetto semplice: che si sono battute solo per imporre in un ambiente del tutto particolare – la scuola lo è – mode e comportamenti non adeguati, in nome di una “libertà” astratta finta, e senza limiti. Ma forse hanno ragione: del resto sono loro le clienti che devono essere soddisfatte dal produttore-azienda-scuola.
Confido che queste ragazze siano così combattive anche in altri contesti e che pretendano un mondo migliore perché, purtroppo, nella vita non sempre ci sono la vera libertà, l’uguaglianza e il rispetto.
A volte semplicemente ci sono le “mode”.
Fabrizio Reberschegg
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Top per Educazione Fisica: il cliente ha sempre ragione ultima modifica: 2021-11-15T21:02:07+01:00 da