di Eugenio Bruno, Il Sole 24 Ore, 11.3.2021.
Lo stato di salute dell’istruzione italiana lasciava a desiderare già prima del Covid e la pandemia rischia di aggravare il quadro complessivo. A ricordarcelo è l’Istat che, anche nell’ottava edizione del rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes), dedica un corposo capitolo alla scuola, all’università e alla formazione. Con una diagnosi che non lascia scampo: «In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata». Basta guardare cosa è accaduto durante l’emergenza. Con il passaggio dalle lezioni in presenza alla Dad durante il primo lockdown l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza. Una quota che sale al 23% tra gli alunni con disabilità. Risultato: il coronavirus e la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari hanno acuito le disuguaglianze. In un contesto che già prima della crisi non era dei migliori.
Nel nostro paese, sottolinea l’Istat, ««il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende ancora in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive». Tanto più che il nostro divario dal resto d’Europa continua ad ampliarsi. Prendiamo i diplomati: nel secondo trimestre 2020 il 62,6% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); tale quota è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali.
Stesso discorso per i laureati. Tra i giovani di 30-34 anni solo il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27. Oltre 14 punti in meno dei nostri partner continentali.
Come se non bastasse aumenta anche la percentuale di giovani 15-29 anni che non studiano né lavorano , i cosidetti Neet. Nel secondo trimestre 2020 salgono infatti al 23,9% contro il 21,2% del secondo trimestre 2019. A pesare è soprattutto la componente dovuta all’inattività, specie nelle regioni del Centro-nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia. In Italia l’aumento è stato più accentuato rispetto al resto d’Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2010, +10 punti nel 2020).
Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore in netto calo rispetto al 2010 ma pressoché stabile dal 2017. E ancora ben distante dal target del 10% che dovevamo raggiungere, insieme altri paesi Ue, entro il 2020.
Su tutto questo non potrà non incidere un anno di scuola a singhiozzo che in alcune regioni ha portato i ragazzi in classe per meno di due mesi. Come sembra lasciare intendere anche l’Istat quando sottolinea che l’impatto della didattica a distanza e della chiusura delle scuole ha «inciso su una popolazione di studenti percorsa già da profonde disuguaglianze di opportunità» e che «nonostante le politiche nazionali e locali, gli sforzi delle istituzioni scolastiche, dei docenti e delle famiglie, gli effetti sulle competenze e sull’abbandono scolastico, soprattutto nelle fasce più vulnerabili della popolazione, potrebbero essere particolarmente gravi». Quanto purtroppo lo scopriremo solo alla fine dell’emergenza.
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Troppi Neet, pochi laureati e 8% di alunni esclusi dalla Dad: tutti i ritardi dell’istruzione italiana ultima modifica: 2021-03-11T06:23:17+01:00 da
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