Riforma

Un’analisi delle Linee guida STEM

di Davide Viero, dal profilo FB La nostra scuola, 25.1.2024.

La concezione che sottostà alle Linee guida STEM è quella di un adattamento prescrittivo al mondo così com’è dato, perché lì è stato capziosamente dislocato il bene del soggetto.

Il presente scritto prende in analisi il testo delle Linee guida STEM, emanate con il DM 184 del 15/09/2023. Esse sono funzionali, recita il medesimo Decreto, “al fine di dare attuazione alla linea d’investimento 3.1 ‘Nuove competenze e nuovi linguaggi’ della Missione 4 ‘Istruzione e ricerca del PNRR”. Sempre nello stesso Documento si afferma che “a decorrere dall’anno scolastico 2023/2024 le istituzioni scolastiche dell’infanzia, del primo e del secondo ciclo di istruzione statali e paritarie aggiornano il piano triennale dell’offerta formativa e il curricolo d’istituto, prevedendo, sulla base delle Linee guida di cui al comma 1, azioni dedicate a rafforzare lo sviluppo delle competenze matematico-scientifico-tecnologiche, digitali e di innovazione legate agli specifici campi di esperienza e l’apprendimento delle discipline STEM”.

Approccerò questo documento secondo cinque direttrici: geopolitica, ordine del discorso, epistemologica/culturale, antropologica e ortodidattica.

Geopolitica

Nel documento in oggetto si afferma che “STEM è l’acronimo inglese di diverse discipline: Science, Tecnology, Engineering, Mathematics e indica, pertanto, l’insieme delle materie scientifiche-tecnologiche-ingegneristiche”. Sempre nello stesso documento, si afferma che “l’acronimo è nato negli Stati Uniti a partire dagli anni 2000 per indicare un gruppo di discipline ritenute necessarie allo sviluppo di conoscenze e competenze scientifico-tecnologiche richieste prevalentemente dal mondo economico e lavorativo”. Dunque, il primo passo che ha dato origine alle STEM è facilmente riconducibile ad una questione geopolitica di matrice economica e coincide con gli accordi APEC di metà anni ‘90 sottoscritti dall’amministrazione Clinton con alcuni paesi del Pacifico, Cina in primis. Questi accordi prevedevano di delocalizzare la produzione a basso valore aggiunto (chiaramente favorita dalle politiche cinesi di industrializzazione promosse da Deng prima e da Zeming poi) per tenere negli USA la progettazione e la realizzazione di prodotti ad alto valore aggiunto, in quanto più profittevoli e lontani dalla imminente concorrenza cinese. Naturalmente tutto ciò portò ad una ridefinizione dei profili dei lavoratori, che necessitavano di essere formati a compiti che richiedevano abilità ed uso di strumentazioni diverse rispetto a quelle precedenti. Lo stesso documento rileva che “risultò evidente, anche sulla base degli esiti di ricerche internazionali sul livello di preparazione degli studenti, quali le indagini PISA e TIMSS, la presenza di alte percentuali di studenti con scarse competenze nelle discipline scientifiche, con conseguenti ripercussioni nel mercato del lavoro e sullo sviluppo economico” (pag. 1). Chiaramente è superfluo qui affermare che ogni misurazione rileva ciò per cui è stata pensata. Sempre nel documento si afferma che “gli esiti di questi studi spinsero i governi [e i parlamenti?] di diversi paesi a ricercare soluzioni per migliorare il processo di insegnamento-apprendimento delle discipline scientifiche e tecnologiche, sia incentivando l’iscrizione degli studenti e soprattutto delle studentesse a percorsi attinenti alle STEM, sia individuando modalità più efficaci e stimolanti per l’insegnamento di queste discipline, anche secondo approcci interdisciplinari”. In poche parole, i governi cominciarono a cambiare la scuola sulla scorta di test tarati sulla misurazione delle nuove necessità industriali, chiaramente rilevando grosse carenze e ritardi, soprattutto in un contesto- quello statunitense- in cui le scuole statali faticavano ad insegnare secondo una prospettiva culturale – preparando così giovani brillanti in tutti gli ambiti della vita- e mancando anche, dall’altra parte, di un insegnamento di taglio pratico-professionalizzante.

Ecco dunque, sulla scia di queste necessità educative partorite dal mondo del lavoro, a sua volta plasmato dalla geopolitica, le linee guida STEM.

L’ordine del discorso

Riprendo questo concetto da Michel Foucault1, il quale afferma che c’è sempre un insieme di regole, di limiti, di procedure, di interdetti che sottostanno a ogni discorso e lo rendono possibile, determinandone la validità o meno. In questo senso, non esiste un ordine del discorso neutro, etereo, che prescinde da una struttura che ne rende possibile l’esistenza. Nel caso delle linee guida STEM, qual è questo ordine del discorso che informa le stesse Linee?

Come già visto, questo ordine è economicistico e risponde a una razionalità strumentale dove la prospettiva culturale come quella dello sviluppo del pensiero critico, almeno nel documento in analisi, è uno specchietto per allodole, così come alcune citazioni di grandi pensatori del passato (Leibniz, Spinoza, Galileo) che rispondono sempre alla logica strumentale, dal momento che sono decontestualizzate e innestate nel documento per dimostrare altri concetti. Se, viceversa, si prendessero queste citazioni nel loro senso rigoroso e veritiero, esse non consentirebbero di suffragare alcunché. La controprova sarebbe far tornare in vita questi studiosi per vedere se sottoscriverebbero interamente, in nome delle loro idee, un siffatto documento. L’esito sarebbe alquanto esilarante. Paradossalmente, questi nomi svolgono la funzione dell’ipse dixit col suo portato fideistico e anacronistico, oltre a rivelare la concezione dell’interlocutore cui si rivolgono: un perfetto ignorante, che ha un’infarinatura di qualche grosso nome da attivare con riflesso pavloviano. Parimenti, questo scomodare grandi pensatori potrebbe trovare un riscontro nei discorsi afferenti al marketing che vengono fatti dagli amministratori davanti agli investitori di una società: uso di belle espressioni per veicolare sofisticamente la volontà di chi comanda.

Direttrice epistemologico/culturale

Ma veniamo alle perle epistemologiche, ovvero le motivazioni che suffragano, da un punto di vista più strettamente scientifico, le STEM. A pagina 2 del documento si legge: “perché la matematica è così importante per la società attuale? La risposta più naturale, ma anche più banale, è che è utile”. Bene, utile a chi, a che cosa? Ma qui ci soccorre il grande Galileo riportato poco oltre: “la matematica è il linguaggio in cui è scritto il gran libro della natura”. Ah beh, se lo dice liberamente lui col Sant’Uffizio alle calcagna! Ma poco più avanti si afferma: “la matematica si è sviluppata in relazione alle esigenze della vita quotidiana: il calcolo per fornire una risposta a problemi quali lo studio di un moto, ecc.” con la virgola prima di ecc. Inoltre, viene più volte ribadita la necessità di approcciare i fenomeni secondo il metodo induttivo, perché il dato di realtà deve sempre essere compresente (chissà che colpo per il povero Schroedinger e tutta la meccanica quantistica!).

Sempre a pag. 2 si afferma che “grazie alla matematica, alla fisica, e alle scienze sperimentali, l’uomo è stato capace di intervenire sull’ambiente che lo circonda. Tutta la tecnologia prodotta è figlia di questo azzardo, della scommessa che gli uomini non sono fatti a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Povero Dante, epurato di ogni componente morale della sua opera e assoldato ad un agire sulla natura che trova il suo inizio almeno 400 anni dopo di lui. Quanto rigore filologico in questo documento.

Sempre a livello epistemologico, si afferma a pag. 2 che “tutte le scienze fisiche e sperimentali seguono l’approccio matematico”. Chissà cosa risponderebbe P. K. Feyerabend che aveva scritto Contro il metodo2, fedele a una concezione anarchica delle metodologie di ricerca.

Si afferma inoltre, a pag. 3, “il sostegno allo sviluppo delle competenze negli ambiti STEM ha trovato espressione nella Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018”. Questo, se ci fosse bisogno di un’ulteriore prova, è il retroterra della concezione economicista sottostante all’ideologia STEM, che non ha nulla a che fare con un approccio epistemologico. La ragione di queste linee, si afferma ancora a pag. 3, è quella di “non subire la tecnologia che ci circonda […] tramite la cosiddetta matematica del cittadino si possono formare studenti capaci di interpretare i tempi moderni proiettandosi verso il futuro tecnologico”. Si prescrive dunque un interpretare che necessariamente deve sfociare in un futuro tecnologico.

Direttrice antropologica

Da un punto di vista antropologico si delinea, con la citazione precedente, anche il tipo umano emergente. Un tipo diverso da quello emancipato e “libero” attraverso la cultura, rielaborata e tradotta nel linguaggio e nel sentire intimo di ciascuno. Cultura e sapere non hanno più questa funzione di compimento della soggettività e trasformazione del mondo, perché il nuovo obiettivo della scuola è quello di modellare un tipo umano adatto per l’ambiente di stampo economicista che si è ipostatizzato e presupposto, come quello affermato in apertura; e dunque senza cultura e senza un sapere che non sia tecnico-pratico. Un soggetto il cui bene è stato dislocato nel contesto e che quindi, per goderne i frutti e per sentirsi realizzato, è costretto ad introiettarne i canoni epocali. Così il bene individuale viene ammannito dal sistema, a cui il singolo si confà non più costretto, ma attraverso la sua volontà, come ben aveva previsto Foucault, chiamando questi strumenti di disciplinamento “tecnologie del sé3”. Appartenenti a queste, è “la valutazione delle competenze STEM” (pag. 11), “essenziale per guidare e migliorare il processo di apprendimento […] consentendo agli studenti di identificare i propri punti di forza e le eventuali aree di miglioramento” così come “la gestione del tempo […]l’autovalutazione e la pianificazione individuale”. Anche la stessa informatica e le tecnologie, con il particolare uso che ne viene caldeggiato nel documento, rappresentano degli strumenti per il disciplinamento.

Non solo si verifica l’adattamento al contesto, ma lo stesso individuo diventa fautore e promotore del sistema stesso. Quasi superfluo affermare che una siffatta concezione vede il soggetto come capitale umano da estrarre e monetizzare. Nessuna stilla di risorse deve essere dispersa in questa logica estrattiva; così nel documento in analisi si stigmatizzano più volte le differenze di genere nel successo delle STEM, con le femmine che presentano risultati inferiori ai maschi. Questo successo va distribuito a tutti, non per spirito egualitario, ma per uguaglianza e massimizzazione dello sfruttamento. Questo è il quadro che sottende l’orientamento descritto a pag. 12, funzionale a non sprecare nessuna frazione di questo capitale umano, perché ogni individuo deve inserirsi prontamente e competendo nei posti che il sistema ha lasciato sguarniti. Questa logica estrattivista da applicare a tutto, emerge anche a pag. 3, quando si afferma che a STEM va aggiunta la A di Arte, con lo scopo di rimuovere “le barriere tradizionali tra materie e discipline” così che non si frappongano diaframmi disciplinari che potrebbero ostacolare lo sfruttamento totale. Infatti “le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione” (pag. 3); lo si è visto nel documento in esame con l’appropriazione di Dante per finalità che solo Bacone arrivò a teorizzare secoli dopo. A livello antropologico, il soggetto è visto come sempre in ritardo rispetto al mondo a cui deve adeguarsi e tutta la sua opera deve essere volta a ridurre questo disallineamento, a prendere la forma mimetica di ciò che è. Nessuna possibilità di compiere l’inespresso che ognuno ed il mondo portano, dal momento che l’ideologia intende già espresso il secondo, a cui il primo deve adeguarsi. Si delinea quindi una individualità succube del mondano al quale deve pre-pararsi e dal quale riceve linfa vitale; ogni dialettica viene soppiantata dalla primazia del mondo sul soggetto e dell’esterno sull’interno. Questo diventa palese a pag. 12 del documento, quando viene affermato il “ruolo che possono rivestire le discipline STEM per il potenziamento delle competenze e delle capacità di ciascuno”. Sempre in quest’ottica è da intendere l’orientamento affermato a pag. 12: non più un orientamento che ha come punto cardine il sé, ma l’esterno, così che l’individuo vada ad occupare i posti lasciati vacanti, sempre nella logica sottesa di sfruttamento del capitale umano.

Altra riflessione merita la particolare concezione dello studente, espressa con una citazione di M. Montessori: “per insegnare bisogna emozionare” (pag. 3). Una scoperta dell’acqua calda, dato che l’emozione ha sempre fatto parte di ogni aspetto della vita, scuola compresa. L’emozione mette infatti in collegamento il corpo con la mente ed è sentire comune che chi emoziona apre molte più porte nell’apprendere rispetto a chi non lo fa. Però nel documento in analisi -considerato l’ordine del discorso rilevato- si nota il rischio di un uso regressivo di questo emozionare, un concetto che si presta ad essere usato in modo strumentale ed epidermico come nel marketing, alla ricerca di una adesione immediata del soggetto a quanto proposto, con l’effetto di appiattirlo su di esso invece che aprire varchi proprio a partire da esso. Si corre anche il rischio – se l’emozione non trapassa nell’appassionarsi, concetto questo ben più profondo dato che sopporta sconfitte, fatiche e difficoltà in virtù della sua correlazione con gli strati più profondi della personalità- del consumo dell’emozione; un’emozione che produce piacere e conferma il soggetto com’è, in modo affine allo choc ben studiato da Benjamin; choc che sottomette ad esso l’individuo, che sarà portato a ricercarne continuamente per sentirsi vivo grazie una vita dispensata dall’esterno ed in esso ricercata in modo cumulativo. Escludo che l’emozionare fosse sfuggito per caso, perché è l’unico verbo che fa riferimento all’insegnare, essendo tutto il documento incentrato sull’apprendimento4. Ma forse qui l’intento è volto al negativo, con l’attribuzione di questa mancanza agli insegnanti, che per questo devono fare lezione ad alto tasso di valore espositivo.

Qual è il soggetto sotteso da queste Linee guida? Egli è un bambino, che va fatto emozionare, fatto sentire al centro in modo immediato, con attività pratiche, laboratoriali e sfide, che mantengano alta la soglia di percezione di attività. Questo bambino-studente va fatto giocare (pag. 7), evitando ogni astrazione che diventa noiosa (pag. 2). Non si capisce qui perché quella di uno studente che ascolta, rielabora e dialoga col proprio insegnante che spiega, sia considerata passività. Forse si considera solo il moto produttivo concreto della mano e non quello intellettuale della mente?

Qual è ruolo e rilevanza del soggetto nell’approccio STEM a scuola? Egli non è più il centro né il fine dell’insegnamento (con i saperi intesi come mezzi per il compimento/trasformazione di sé e del mondo a seguito dell’agire soggettivo) e parimenti non è considerato nell’agire educativo, dal momento che, una volta fissato in modo rigido l’obiettivo da raggiungere – ovvero il mondo così com’è dato – sparisce ogni creazione, sostituita dall’efficacia e dall’efficienza nell’andare a bersaglio.

Ortodidattica

Essendo la didattica dipendente dal fine, ed essendo questo predeterminato e coincidente con la forma dominante del mondo, ne consegue una didattica prescrittiva. Nel documento, infatti, non è fatta parola per alcun contenuto, perché esso è il mondo dato, e tutta l’attenzione è rivolta alle metodologie e al come, sottintendendo il cosa. L’ortodidattica fa strame delle peculiarità degli allievi, delle classi e degli insegnanti, al netto dell’autonomia e dei singoli PTOF.

Ecco la prescrittività didattica che permea tutto il documento. A pagina 5 si afferma che “i finanziamenti contribuiscono allo sviluppo di una didattica innovativa, alla condivisione di buone pratiche, alla realizzazione di iniziative, anche extrascolastiche […] per stimolare l’apprendimento delle discipline STEM e digitali”. Perfettamente aderente a questa concezione di educazione, è il learning by doing (pag. 6) che limita l’immaginazione e la teoresi perché fisso sul piano concreto, così come lo è il problem solving, che ritorna spesso all’interno del documento. Questa modalità stimola infatti l’applicazione su problemi già dati da altri e già ben definiti, a cui magari basta applicare il coding – citato a pag. 12- come metodologia per frammentarli in parti più risolvibili, in assonanza con la cibernetica. Conseguente a questo è il lavoro per progetti che, oltre a portare frammentazione perché indipendenti tra loro, presuppongono come già dato il risultato da ottenere.

Sempre nel documento si prevede un approccio collaborativo e interdisciplinare alla didattica (pag. 6). A questo proposito risultano illuminanti le parole di J.-F. Lyotard che differenziano il moderno dal postmoderno. Il primo era “un gioco ad informazione incompleta, il vantaggio è di chi sa e può ottenere un supplemento di informazione. È per definizione il caso di uno studente in situazione di apprendimento. Ma nei giochi ad informazione completa, l’acquisizione di una maggiore performatività non può consistere nell’acquisizione di un tale supplemento. Essa deriva da una nuova organizzazione dei fatti […]. Ciò si ottiene per lo più attraverso il collegamento di serie di dati ritenute fino ad allora indipendenti”. Nel postmoderno, “il rapporto col sapere non è quello della realizzazione della vita dello spirito o dell’emancipazione dell’umanità; ma quello degli utilizzatori di uno strumento concettuale e materiale complesso e dei beneficiari delle sue prestazioni. Costoro non dispongono di un metalinguaggio né di una metanarrazione per formularne la finalità e l’uso corretto. Ma hanno il brain storming per rafforzarne le prestazioni. La valorizzazione del lavoro di equipe è propria di questo prevalere del criterio performativo nel sapere5. Il successo delle prestazioni dovuto al lavoro di équipe vale “nel quadro di un modello ben definito, vale a dire nell’esecuzione di un compito; il miglioramento sembra meno sicuro quando si tratti di ‘immaginare’ nuovi modelli, cioè nella concezione”. Le parole di Lyotard combaciano perfettamente con quanto afferma il documento a pag. 6, quando incentiva il lavoro di gruppo e l’apprendimento tra pari, ossia il sostare su di uno scenario dove l’insegnante non porta il contributo di chi sa di più, perché tutto è interno al gioco ad informazione completa; ecco che la matematica non è più astrazione verso l’infinito, ma “funzioni e relazioni, dati e previsioni” (pag. 8). Parimenti, a pag. 7 a proposito del pensiero critico si afferma che: “può essere incoraggiato attraverso attività che richiedono la raccolta, l’interpretazione e la valutazione dei dati”. Anche qui il pensiero critico dipende dalla cumulatività e dalla quantità di informazioni; chiaramente, senza un sapere profondo altro, nessuna uscita dal dato sarà mai possibile, se non un mutare riguardo ad esso. Il superamento di modelli trasmissivi” enunciato a pag. 7 si inserisce in questo scenario, dove la mobilitazione frenetica sostituisce l’attività riflessiva visibile perché il moto non è più lungo il piano verticale, ma orizzontale. Un modello in cui l’informazione è già completa e si tratta solamente di lavorare alle relazioni tra gli elementi così come sono dati, eliminando i possibili ostacoli che intralciano la velocità. Si spiega in questo modo il fatto che, nel documento in analisi, la relazione umana non sia presente. D’altra parte, se il gioco è ad informazione completa e tutto è appiattito sul dato, si esclude ogni cammino di perfezionamento umano, in cui anche l’insegnante si inserisce. Ecco che nella scuola così delineata tutto è mediato da metodologie e tecniche che sostituiscono ogni indeterminatezza che dà il tendere a qualcosa, relazione umana compresa.

Conclusioni

La concezione che sottostà alle Linee guida STEM è quella di un adattamento prescrittivo al mondo così com’è dato, perché lì è stato capziosamente dislocato il bene del soggetto.

A pag. 13 del documento si dice chiaramente che “il coding, il pensiero computazionale e l’informatica offrono strumenti e conoscenze necessarie per comprendere, utilizzare e contribuire al progresso tecnologico. L’inclusione delle competenze connesse al coding […] all’informatica nel percorso educativo può preparare gli studenti alle sfide e alle opportunità offerte dal mercato del lavoro digitale. L’acquisizione di tali competenze può favorire l’occupabilità degli individui e contribuire alla crescita economica e all’innovazione del paese”. Come si vede, c’è solo da fare i conti con ciò che già è; un dato di fatto inemendabile, fatto di mercato del lavoro (e non mondo del lavoro, dove profitto, concorrenza e capitale umano sono molto meno espliciti, perché legato all’attività umana e non all’accumulo di qualcuno e alla competizione), di capitale umano e di crescita del paese, così che possa finanziarsi a tassi più favorevoli sulle grandi piazze finanziarie mondiali. L’occupabilità diventa uno dei fulcri del discorso, non secondo quanto affermato nell’art. 1 della Costituzione italiana, bensì in chiave di non dispersione del capitale umano. La scuola non serve più ad avvicinare essenza ed esistenza del soggetto in chiave emancipativa, ma solo ad inserirlo nel mondo per poterlo sfruttare con meno intralci.

Con una postilla per il futuro che deve risultare a noi un monito: “un corretto e consapevole utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito scolastico, può fornire varie opportunità formative […] soprattutto in contesti in cui le risorse sono limitate”. Ormai è esplicito che la scuola subirà un vincolo di risorse e se la giocherà meglio chi di essa farà a meno, dato che la scuola di stampo umanistico non risponde più alle esigenze del mondo nella forma dominante.

Che futuro ci aspetta se ci poniamo all’interno di questo “ordine del discorso”6?

1 – M. Foucault; L’ordine del discorso, Einaudi, Torino, 1972.

2 – P. K. Feyerabend; Contro il metodo, Feltrinelli, Milano, 1979.

3 – M. Foucault; Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.

4 – Cfr. G. Biesta; Riscoprire l’insegnamento, Raffaello Cortina, Milano 2022.

 5 – J.F. Lyotard; La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981.

6 – Significativo che molti Collegi docenti abbiano sottoposto a votazione l’approvazione delle Linee guida STEM per il loro inserimento nel PTOF. Come se si potesse non applicare un Decreto ministeriale. Implicita la vestizione democratica e deliberativa di un obbligo calato dall’alto. A testimonianza dell’impianto dell’autonomia scolastica, che mostra le volute rigidità e verticismo, nonostante affermi il contrario.

Un’analisi delle Linee guida STEM ultima modifica: 2024-01-26T06:57:59+01:00 da
Gilda Venezia

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