di Giovanna Lo Presti, volerelaluna, 4.8.2023
Ho l’impressione, poco gradevole, che la mancanza di idee del Ministro dell’istruzione e del merito Valditara sia proporzionale al suo presenzialismo e alla irresistibile pulsione a esternare il proprio pensiero.
Il suo curriculum chiarisce quali interessi abbia avuto oltre al Diritto romano pubblico e privato. Questi i titoli di alcuni suoi lavori che esulano dall’ambito accademico di pertinenza: Riflessioni sulla crisi della sovranità popolare, Sovranismo. una speranza per la democrazia, La questione lombarda, Immigrazione. tutto quello che dovremmo sapere, L’immigrazione nell’antica Roma: una questione attuale, Cittadinanza tra merito individuale e interesse pubblico. Si potrà notare come non ci sia stata prima della nomina a ministro, nei suoi interessi di studio, alcuna attenzione al delicato ambito educativo; compare, sì, una volta la parola “merito” ma qui Valditara si sta occupando dell’antica Roma e non della scuola italiana del XXI secolo.
Questa distanza dal mondo dell’istruzione non gli impedì, comunque, di essere il relatore al Senato della “riforma” Gelmini, quella che verrà ricordata negli anni soprattutto per gli 8,5 miliardi di euro sottratti alla scuola e indirizzati verso altri nobilissimi impieghi di alto valore sociale – come, per esempio, l’abortito salvataggio di Alitalia. Insomma, per quel che concerne la visione e la possibile soluzione dei molti problemi della nostra scuola, il professor Giuseppe Valditara è di fatto, nonostante i suoi precedenti parlamentari, un neofita. Sarà forse per questo motivo che sinora ha prodotto una sola idea originale.
Dobbiamo tornare al novembre 2022 quando, a proposito dei lavori socialmente utili per far rinsavire studenti bulli e violenti, Valditara affermò di slancio: «Evviva l’umiliazione, che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità». Mal gliene incolse, tant’è che a metà dicembre fu costretto ad una parziale rettifica: «L’umiliazione? Risentite il mio intervento, ho usato il riflessivo ‘umiliarsi’, proprio della cultura cristiana. Il ragazzo deve accettare la sanzione, deve riconoscere di avere sbagliato, mettere dei limiti al proprio io». Non molto convincente, come autodifesa, insomma cappotti rivoltati che nessuno vorrebbe più indossare. O forse, incarnando egli stesso – proprio lui, Giuseppe Valditara – i valori propri della cultura cristiana ha deciso di umiliarsi in questo modo, non dicendo mai nulla di fondato né di originale, riciclando luoghi comuni che non vale nemmeno la pena criticare.
Il 22 luglio l’ultima notizia riportata dalla stampa e proveniente dal capo del Ministero dell’istruzione e del merito riguardava la necessità di tenere le scuole aperte d’estate. Quando si chiudono le scuole? Nella prima metà di giugno. Quando inizia l’estate? Il 21 giugno. Non è un po’ fuori tempo (o troppo in anticipo, rispetto al 2024) proporre l’apertura estiva delle scuole il 22 luglio?
Leggiamo sul Sole24ore: «Per questo (l’apertura estiva delle scuole ndr) erano stati stanziati 100 milioni di euro nel biennio. In modo da consentire l’apertura estiva di 2.800 scuole. A quei soldi ne abbiamo aggiunti altri, prendendoli dai fondi contro la dispersione scolastica, e così abbiamo avviato progetti in altri 768 istituti».
Come stiano quest’anno veramente le cose non lo capiamo. Ma nei due anni precedenti avevamo seguito le mosse dell’allora ministro Bianchi che dell’apertura estiva delle scuole aveva fatto un suo punto d’onore. L’avevamo criticato, eccome. E che quella fosse un’idea poco praticabile e poco accetta alle famiglie non era soltanto un’opinione personale. Infatti, sia nel 2021 sia nel 2022, la scuola estiva si è rivelata un flop. Tant’è che la scorsa settimana si apprendeva che il progetto di scuola estiva voluta da Patrizio Bianchi quando era a capo del Ministero dell’istruzione non era stato rinnovato dal nuovo ministro.
Pochissimi giorni dopo varie testate giornalistiche riportavano ampie dichiarazioni di Valditara sulla necessità di tenere aperte le scuole d’estate.
Una sola domanda: a che gioco giochiamo? non sarebbe auspicabile che il primo a esercitare il proprio ruolo con serietà fosse il ministro? e, a suo modo, non è bullismo gettare alle ortiche il pur criticabile progetto Bianchi per vararne un altro simile targato Valditara? Certo Bianchi, in questo più pragmatico e modesto, non si era spinto sino a ravvisare nell’apertura delle scuole estive la finalità di contrastare la «denatalità e il tasso incredibilmente basso dell’occupazione femminile rispetto al resto d’Europa». Povero Bianchi, auspicava una «scuola affettuosa», un po’ patetica, che però è sempre meglio di una scuola umiliante.
Ma – ripeto – può darsi che Valditara stia espiando una qualche colpa precedente, altrimenti non si farebbe prendere in castagna in questo modo, dicendo e disdicendo. Cosa che fa regolarmente: annuncia, con lieto volto, che i concorsi per l’insegnamento saranno aperti anche a coloro che hanno maturato tre anni di anzianità nelle scuole private dopo avere lanciato questo sasso non da poco nello stagno, ritira la mano: i docenti delle paritarie con tre anni di servizio non saranno più ammessi al concorso per insegnare nelle scuole statali. Il contrordine è stato caldeggiato dalle stesse scuole paritarie, che certo non volevano perdere manodopera intellettuale a basso costo.
Il Ministro annuncia che gli esami “di riparazione” si faranno entro la fine d’agosto e poi rettifica. Ma – colpo di scena! – proprio mentre sto scrivendo leggo che il termine ultimo viene di nuovo confermato a fine agosto; subito dopo leggo un articolo de La Repubblica (24 luglio): chiarisce che, in seguito a vibrate proteste (a giugno erano state decisive le solite, influenti scuole paritarie), il Ministro ha di nuovo rettificato. Da questo andirivieni una cosa risulta chiara: il Ministro del merito non ha idea dei meccanismi elementari che regolano il funzionamento delle scuole e, appare lampante, non ha uno staff che lo supporti. E allora parla, esterna. È notizia recentissima che ci saranno altri soldi per riequilibrare il divario Nord-Sud: 95 milioni da assegnare a 500 scuole per «superare il divario territoriale tra Nord e Sud e garantire pari opportunità d’istruzione agli studenti in tutta Italia». I fondi verranno impiegati nella realizzazione di reti locali, cablate o wireless, o per l’acquisto di schermi digitali o strumenti per la trasformazione digitale nella didattica o di attrezzature laboratoriali green. Insomma, una conferma dell’illusione tecnocratico-pedagogica, in totale continuità con la “scuola 4.0” immaginata dal PNRR. Non è così che si supererà il divario tra il Nord e il Sud del Paese; allo stesso modo, non si ridarà autorità agli insegnanti con i metodi proposti da Valditara, né si arginerà la violenza nelle scuole con un giro di vite su voto di condotta e lavori socialmente utili usati a mo’ di punizione.
La crisi dell’istituzione scolastica è profonda e non tocca soltanto l’Italia; specificità italiana è quella di bistrattare i lavoratori della scuola e impegnare, nonostante il vortice di cifre con molti zeri, poche risorse per l’istruzione (lo conferma l’ultimo rapporto ISTAT, che ci vede sempre in coda, con un 4,1% del PIL per l’istruzione contro la media dei Paesi UE27 del 4,8%. La crisi della scuola riflette quella della nostra società; se il rapporto tra le generazioni è così conflittuale è anche perché i più giovani non si riconoscono in un progetto sociale comune rispetto a quello degli adulti. I quali adulti, peraltro, hanno essi stessi perso la bussola, storditi da un mondo in cui il benessere materiale diminuisce, le diseguaglianze sono in crescita esponenziale e il futuro si presenta non come luogo della realizzazione di progetti di vita ma come minaccia.
Se potessi, consiglierei al professor Valditara di leggere un libro che ormai ha qualche anno, ma che non ha perso di attualità. Si intitola L’epoca delle passioni tristi, è scritto da due psicoanalisti, Miguel Benasayag e Gérard Schmit e aiuta a comprendere quanto profonda sia la ferita che rende malferma la scuola e difficoltoso il processo dell’educazione e quanto la perdita di autorevolezza degli adulti comporti un lavoro collettivo per essere ripristinata. Da chi è alla guida di un’istituzione così importante ci aspetteremmo serietà, sobrietà e conoscenza della materia; invece, un ministro dopo l’altro, siamo qui, sempre di fronte alle stesse difficoltà materiali (dalle GPS ai concorsi al mancato rinnovo dei contratti all’edilizia scolastica fatiscente: ma da quanti anni va avanti così?), sempre di fronte alle stesse banalità di base proposte come rimedi a problemi davvero gravi, sempre di fronte ai miti delle nuove tecnologie e delle nuove metodologie didattiche.
Ogni tanto ritornano i vecchi fantasmi – i grembiulini, la disciplina ferrea, il voto di condotta!o – e intanto un mondo esterno aggressivo e invasivo colonizza le menti dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. La metà dei diplomandi non è in grado di comprendere un articolo di giornale. Questo è il vero problema. Per essere risolto, cosa tutt’altro che semplice e immediata, occorrerebbe lo sforzo di tutti, compreso quello del ministro di turno.