Il consiglio dei ministri ha varato ieri la riforma del voto in condotta e quella dell’istruzione tecnico professionale. La prima è stata definita dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni una “svolta molto attesa dalla società italiana”. Prevede la valutazione in decimi della condotta, che farà media anche per l’ammissione alla maturità e debiti in educazione civica mentre le sospensioni, se superiori a due giorni, si tradurranno in attività formativa, anche fuori dalla scuola. “Riportiamo la cultura del rispetto nelle scuole”, ha detto Meloni. Stesse parole dal ministro dell’Istruzione (e del “merito”) Giuseppe Valditara che parla di una “scuola capace di affermare la cultura del rispetto” ed è capace anche di offrire “competenze di qualità alle imprese”.

La riforma sul voto in condotta “delinea la scuola più come ambiente punitivo che come luogo in cui individuare e prevenire situazioni di disagio – dice la Rete degli Studenti Medi – sul debito in educazione civica l’impressione è quella di un utilizzo strumentale della materia contro i ‘peccati morali’ degli studenti”. “Occorrerebbe, invece. riflettere su come strutturare meglio l’insegnamento della Costituzione all’interno dell’anno scolastico”, ha aggiunto Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete, annunciando anche una stagione di mobilitazioni a partire dalla partecipazione alla “Via maestra”, la manifestazione nazionale del 7 ottobre prossimo convocata dalla Cgil e da un centinaio di organizzazioni della sinistra diffusa.

Il secondo intervento varato dal governo riguarda la formazione professionale ed è un altro passo verso quel processo di aziendalizzazione dell’istruzione cominciata più di 20 anni fa, iniziata dalla “Berlinguer-Zecchino”, proseguita con le riforme Gelmini (2008), Buona Scuola (2015) e con i provvedimenti del governo Draghi. A cui il governo di destra, con ministro espressione della Lega, ha aggiunto una decisa torsione autoritaria.

Meloni e Valditara parla di un canale di inserimento sul mercato del lavoro “di serie A”. Una retorica, quella calcistica, tipica dei discorsi sulla competizione di cui si nutre la meritocrazia alla quale il governo della destra ha innalzato un altare quando ha cambiato il nome al “ministero dell’Istruzione”. Ma la retorica non basta a nascondere l’ideologia per la quale la dispersione scolastica si combatte avviando al lavoro ragazzini di 13 anni, “predestinati” alle mansioni e non adatti alla conoscenza.

A tale proposito domenica scorsa, dal palco di Pontida, Valditara ha parlato di “cultura del lavoro” e del ‘68 come causa di tutti i mali della scuola. La riforma dei tecnico-professionali si tradurrà in una sperimentazione per il 30% degli istituti tecnici professionali, a partire dal prossimo anno scolastico, una frequenza ridotta a 4 anni, alternanza scuola-lavoro potenziata fino a 400 ore l’anno, insegnanti “esperti” e cioè imprenditori e professionisti fortemente legati alla filiera del territorio. Inoltre il sistema di certificazione dei percorsi di formazione regionale si baserà sui test Invalsi. E’ facile intuire come bambini provenienti da famiglie a bassissimo reddito, i cosiddetti “fragili” certificati dall’Invalsi saranno incanalati verso questo tipo di formazione.

Di “riforma classista e anacronista che rispecchia tutta la politica della destra al governo” parla anche Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra (Avs). “E’ una norma che subordina la formazione degli studenti alle esigenze delle imprese e confonde l’istruzione con l’addestramento, si creano gli studenti di serie A e quelli di serie B, perché quest’ultimi all’università non potranno andare”.