LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI TORINO
Il Corriere della Sera 9.6.2015.
Il tribunale di Torino ha riconosciuto un risarcimento di circa due milioni di euro ai familiari di Vito Scafidi, lo studente rimasto ucciso nel novembre del 2008, a 17 anni, nel crollo di un controsoffitto al liceo Darwin a Rivoli (Torino). Una morte che i giudici hanno definito un caso «eccezionale e unico», determinando un risarcimento del danno che va oltre i massimi tabellari previsti. Nella sentenza del giudice Anna Castellino della quarta sezione civile si parla di un «accostamento ormai inevitabile e costante tra il problema della sicurezza nelle scuole e il nome di Vito Scafidi, diventato, suo malgrado, l’emblema nella coscienza collettiva». Il giudice ha osservato come «la straordinarietà della tragedia e il contesto in cui è avvenuta non sono privi di rilievo nella loro incidenza sulla entità del danno patito dai congiunti».
Castellino, per calcolare il danno, ha deciso di superare le tabelle utilizzate normalmente dal tribunale di Milano, che la Cassazione nel 2011 indicò come parametro di riferimento. La vicenda del liceo Darwin, a suo giudizio, presenta quel carattere di «eccezionalità che non solo giustifica, ma rende doveroso l’adeguamento della liquidazione al caso concreto». L’incremento dei massimi tabellari è stato del 50%. La somma è a carico della ex Provincia di Torino (ora Città metropolitana). Lo scorso 3 febbraio, in sede penale, la Cassazione aveva reso definitive sei condanne.
«La morte di Vito non può essere risarcita con le stesse somme che vengono liquidate per un investimento pedonale cagionato per distrazione, o a un decesso derivante da un errore medico durante un intervento d’urgenza, o a un incidente sugli sci», dicono gli avvocati dello studio Ambrosio & Commodo, che hanno assistito la famiglia Scafidi. «La morte di Vito non è uguale alle altre perché non si può morire in un’aula di scuola».
Il risarcimento è destinato al padre di Vito, Fortunato, alla sorella Paola e ai nonni. La madre di Vito, Cinzia Caggiani, intenterà invece un’altra causa civile, dopo che il percorso penale si è chiuso con le sei condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Torino nell’ottobre 2013, confermate dalla Cassazione lo scorso febbraio. «Cominceremo un’altra battaglia affinché il nome di mio figlio non resti sotto le macerie», ha detto.
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