Merito

È il “merito” che blocca ogni ascensore sociale

di Francesco Sylos Labini, Il Fatto Quotidiano,  30.10.2022.

Tra le novità del nuovo governo c’è la denominazione del ministero dell’Istruzione cui è stato aggiunto “e del Merito”. Con questa operazione cosmetica si è esplicitato l’obiettivo perseguito negli ultimi tre lustri da tutti i vari ministri che si sono avvicendati in quel ruolo. Per quanto possa apparire paradossale, e non lo è affatto, l’ideologia meritocratica è stata infatti la bussola che ha guidato la politica della scuola e dell’università dalla riforma Gelmini in poi.
Andiamo con ordine. Il sociologo inglese Michael Young scrisse negli anni 50 L’ascesa della meritocrazia, in cui la meritocrazia è descritta come una società spaventosa in cui la ricchezza e il potere sono distribuiti in base al rendimento scolastico o ai quozienti di intelligenza o a qualche misura di “superiorità” intellettiva. Young argomenta che la casta che viene così selezionata sarebbe ancora più chiusa e impermeabile delle vecchie caste che sostituisce. In questa società, i valori del mercato e della competizione entrano in ogni aspetto della vita sociale, a partire dall’istruzione elementare e la meritocrazia ha un duplice obiettivo: da un lato selezionare i tecnici più efficienti necessari alla società e alla sua economia, dall’altro fornire la giustificazione morale per le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza che necessariamente si creano. La meritocrazia è un sistema che fa emergere la casta degli autoproclamati “migliori” e che ne consolida il potere.
La prima critica alla società meritocratica è che il merito senza pari opportunità consolida il privilegio perché chi nasce più ricco ha un vantaggio iniziale che generalmente aumenta nel tempo, così che “i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. La meritocrazia è cioè un sistema utile per preservare i privilegi delle élite.

Tuttavia, un’altra più sottile ma importante critica riguarda la definizione e la misura del “merito”. A volte si leggono classifiche in cui i Paesi sono ordinati in base alla quantità di meritocrazia. Non essendoci l’unità di misura “meritone” cosa si valuta esattamente per stilare questi ranking? Come ha sottolineato il paleontologo Stephen J. Gould, il quoziente di intelligenza non misura l’intelligenza, ma solo la capacità di risolvere rapidamente una serie di problemi di un determinato tipo. Per misurare l’intelligenza in modo affidabile, bisognerebbe prima definirla in modo inequivocabile, ma è molto discutibile che esista un solo modo per farlo. Lo stesso problema si presenta ogni volta che per misurare una certa qualità usiamo un surrogato che si possa quantificare, ma spesso è un indicatore non solo fuorviante perché misura qualcosa di diverso da quello che si vorrebbe (ad esempio, il numero di pubblicazioni e non la loro qualità), ma introduce distorsioni nel comportamento di chi viene valutato.

Consideriamo le famose classifiche delle università: come nel calcio la squadra che vince il campionato è quella che ha maggiori risorse e investimenti così non è sorprendente trovare nelle prime posizioni Harvard e Yale che hanno insieme il 70% delle risorse dei 66 atenei italiani con un numero di studenti che però non arriva al 2%. In realtà sarebbe sorprendente che, date queste risorse stratosferiche per i nostri standard, quegli atenei non si trovassero ai primi posti. È facile dunque capire che un ateneo che ha molte più risorse di un altro vince facilmente in una competizione per ottenere un finanziamento per una nuova linea di ricerca. Questa è la dinamica perversa per cui il ricco diventerà sempre più ricco e il povero più povero. E questo è quello che è accaduto nella distribuzione dei fondi alle università del nostro Paese. L’aumento delle disuguaglianze tra il Nord e il Sud negli ultimi 10 anni è stato proprio guidato da questa dinamica. Consegnare il potere accademico nelle mani di una casta di “migliori” è stata un’altra conseguenza di questa ideologia.

L’aumento delle disuguaglianze con il travaso di risorse umane e finanziarie dalle zone più deboli (il Sud) a quelle più forti (il Nord) è proprio l’effetto della meritocrazia. La stessa dinamica avviene a livello europeo, con il risultato paradossale che i Paesi del Sud finanziano la ricerca di quelli del Nord. La crescita di queste disuguaglianze sempre più insormontabili inibisce il ruolo dell’istruzione come volano per la mobilità sociale. Dall’altra parte l’esasperata competizione sta drogando e stravolgendo il lavoro dei ricercatori, e la ricerca scientifica sta cambiando completamente il suo corso per effetto di questa pressione, inibendo scoperte e dirottando il lavoro solo verso quelle linee di ricerche già consolidate. Non c’è dunque nessun paradosso nella nuova denominazione del ministero dell’Istruzione e del Merito: si vuole solo esplicitare che la linea politica in questo settore non verrà cambiata.

 

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È il “merito” che blocca ogni ascensore sociale ultima modifica: 2022-10-31T21:17:54+01:00 da
Gilda Venezia

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