di Max Ferrario, il Sussidiario, 24.2.2017
– La formazione dei docenti è divenuta, con la Buona Scuola (comma 124), “obbligatoria, permanente e strutturale”. Di fatto però non funziona. Ecco la soluzione in 4 mosse.
In questi mesi di scuola i docenti hanno dovuto fare i conti con la formazione, divenuta, con la Buona Scuola (comma 124), “obbligatoria, permanente e strutturale”.
La macchina si è messa in moto e gli insegnanti stanno partecipando ai corsi: chi nella propria sede, chi fuori sede, in rete, on line, e così via. Ma sull’argomento non pochi sono i punti poco chiari.
Nonostante queste difficoltà, le scuole hanno fatto partire il piano di formazione, che — a buon conto — contiene anche alcune novità.
La prima consiste nel fatto che il piano è organicamente strutturato, e lo si vede nella configurazione coesa e a cascata: le scuole, sulla base delle esigenze formative espresse dai singoli docenti, progetteranno e organizzeranno, anche in reti di scuole, la formazione del personale. Le attività formative delle singole scuole devono poi essere coerenti con le finalità e gli obiettivi posti nel Pof, tenere conto delle azioni individuate nei piani di miglioramento (Pdm), ed essere connesse con le priorità dei piani nazionali.
Come si vede è proprio un’organizzazione molto serrata. Dove — sulla carta — i tasselli si incastrano con precisione millimetrica: ma nella realtà è proprio così? È proprio vero che le esigenze formative dei singoli docenti si inseriscono nelle priorità del Rav, negli obiettivi del Pdm, rispondendo alle priorità del Miur? Ci chiediamo: quante scuole sono effettivamente partite dall’ascolto dei bisogni dei docenti per formulare i loro piani di formazione? Forse non sarebbe stato neppure possibile incrociare i bisogni degli insegnanti con le priorità del Pdm e del piano nazionale!
È questa “supposta” coincidenza di obiettivi e bisogni che non ci quadra. E che sta solo nella testa dei funzionari del Miur. Anche se l’impianto è “organico”, non perde un colpo: ma solo sulla carta.
Nella realtà, i dirigenti scolastici hanno dovuto far quadrare il tutto, partendo innanzitutto dalle priorità del Rav: e questo ha complicato la faccenda. Perché il Pdm potrebbe imporre una progettazione formativa non coincidente con le esigenze dei singoli insegnanti. E’ vero che i docenti potrebbero frequentare corsi che liberamente scelgono: ma sarà un po’ difficile eludere la partecipazione ai corsi voluti dalla scuola.
E infatti, non pochi sono i docenti che frequentano i seminari progettati dalle scuole solo per comodità, o per ottemperare al dettato della legge, ma senza alcun interesse specifico. E non pochi sono gli insegnanti che seguono più corsi possibili perché, per i più giovani, la chiamata diretta dipende anche dalle competenze specifiche certificate dai corsi; mentre per i docenti di ruolo, la frequenza può diventare un elemento valutabile per il merito. Ma si tratta di una partecipazione spesso solo subita.
Così, ancora una volta, la forza propositiva del piano — perché la formazione è un punto qualificante della professionalità — rischia di vanificarsi e di ridursi ai “crediti” da certificare sul proprio portfolio formativo. Per questo, tre possibili indicazioni operative.
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Formazione docenti, i perché di un fallimento (e 4 mosse per uscirne) ultima modifica: 2017-02-24T07:00:47+01:00 daTuttoscuola, 14.5.2024. Sembra inarrestabile la fuga dalle commissioni esaminatrici dell’attuale concorso docenti 2024, probabilmente a…
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