– C’è una vignetta che circola in rete che la dice lunga sullo stato di degrado in cui è precipitata l’istituzione scolastica. Mette a confronto scuola e famiglia ieri e oggi al momento del ritiro della pagella. Due immagini contrapposte, esilaranti, ma al tempo stesso terribilmente amare. Nelle quali le due agenzie educative, un tempo alleate, sono oggi distanti, quasi nemiche. La prima che non riesce più a farsi ascoltare, la seconda che pretende attenzioni promozioni facili e soprattutto nessuna rottura di scatole. E quando vengono meno le aspettative, apriti cielo. Dapprima furono sguardi di rassegnazione poi di ribellione. Una rabbia via via sfociata in violenza per ‘vendicare’ un rimbrotto un’insufficienza una bocciatura. Tutto pur di salvaguardare l’orgoglio ferito di quel figlio che un tempo, altri genitori con altri valori e principi, avrebbero bollato come lo ‘scansafatiche capace solo di scaldare la sedia’.
O forse neanche quella. Non è più così per i genitori-non genitori di oggi. Che rinunciano a priori a educare i propri figli evitando loro qualsiasi insuccesso ludico sportivo o scolastico. Soprattutto scolastico.

Li chiamano ‘genitori spazzaneve’ perché intenti a rimuovere ogni ostacolo che osi frapporsi lungo il cammino intrapreso dai loro cuccioli. Tutto pur di non minare quella autostima conquistata a suon di coccole e di soli sì.
Sempre in prima linea a difendere l’indifendibile. Pretendono giustizia, dicono. E se non l’ottengono con le buone (dei ricorsi ai tribunali si è perso il conto) ricorrono alle cattive. Minacce, insulti, strattoni, schiaffi e pugni in pieno viso hanno riempito le pagine delle cronache in questi ultimi anni. A prenderle sono però sempre loro: maestre e prof bullizzati da genitori e figli per vendicare quella punizione o quell’insufficienza vissuta come un’offesa senza eguali. Mandati in ospedale con costole fratturate e setti nasali rotti che nessuna sutura potrà mai guarire del tutto. Perché quelle ferite continueranno a sanguinare nell’animo.

Mi domando quale educazione, quali valori abbiano potuto trasmettere il padre e la madre di quel bambino di sette anni di Firenze che ha dato una testata alla maestra, spedendola dritta all’ospedale, e che il giorno prima si era presentato a scuola con dei coltelli lanciandone uno davanti ai suoi coetanei come fosse una cosa naturale, un gioco. O i genitori di quel ragazzo che ha preso a sediate la loro prof al termine dell’ora di lezione, attirandola in classe, dopo aver spento la luce, con dei movimenti improvvisi. Un gesto delinquenziale, smettiamola di chiamarle ‘bravate’ o ragazzate, coperto dall’omertà dei suoi compagni, sul quale indaga la polizia.

Un’indignazione, la nostra, che dura pochi minuti. Poi torniamo alla nostra quotidianità, alle corse frenetiche, ai conti che non tornano, ai soldi che non bastano mai per arrivare a fine mese. Rassegnati a tutto. Al degrado delle nostre città, al degrado della politica e peggio ancora dei nostri valori. Inermi dinanzi a situazioni che non sappiamo né vogliamo cambiare. Perché è sempre degli altri la colpa, della società (dimenticando che la società siamo noi), delle istituzioni, della scuola.

L’insegnante, che un tempo svolgeva il lavoro più bello del mondo (cosa c’è di più bello del formare le coscienze dei giovani, fornire loro le ali della libertà che solo la cultura può garantire?) vive ora in trincea. Costretto a guardarsi le spalle, la mattina quando esce di casa, se crede, si raccomanda al Signore o al più scaramantico ‘io speriamo che me la cavo’ 

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