di Orsola Riva, Il Corriere della Sera 17.1.2016.
La polemica sulla circolare del ministero che dà facoltà ai presidi di suddividere i ragazzi in base alle competenze raggiunte
Una pratica corrente nel mondo anglosassone nel quale le lezioni sono differenziate a seconda delle abilità dei bambini: chi ha il pallino della matematica sta nel «top set» e macina più tabelline, chi invece ha qualche inciampo finisce nel «bottom set». «A me – commenta Raffaele Mantegazza, docente di pedagogia generale alla Bicocca di Milano – i gruppi di livello fanno tornare in mente le classi differenziali di infausta memoria. L’idea che i bravi devono stare con i bravi, gli scarsi con gli scarsi». Mantegazza ci tiene a precisare che lui non tifa certo per il mantenimento dell’unità classe così com’è. «Qualunque intervento sensato che spezzi questo totem sarebbe il benvenuto – spiega -. Lavorare per classi aperte anche per diverse fasce d’età è non solo utile ma necessario. Altro però è spaccare la classe a seconda dei livelli per potenziare i più bravi e recuperare i meno bravi. Cosa vuol dire più bravi e meno bravi? Nei 100 metri è più bravo chi è più veloce ma a scuola non si va solo per imparare, si va per socializzare il sapere. Un bimbo portato per la matematica che si mette a disposizione di chi ne sa meno di lui non solo aiuta l’amico, ma cresce lui. La scuola deve insegnare la democrazia. Il modello rampante inglese,che punta alla competitività, è contrario alla nostra Costituzione».
Non la pensa così Giuseppe Bertagna, docente di pedagogia generale all’Università di Bergamo, già consulente del ministro dell’Istruzione Letizia Moratti e autore di una proposta che prevedeva la costituzione di gruppi di livello. «Intanto nessuno è bravo in tutto. Nel sistema inglese lo stesso bambino può rientrare fra i più talentuosi in una materia e essere fra gli ultimi in un’altra. E poi il gruppo come lo vedo io si articola su più piani: c’è il gruppo di compito in cui si insegna a rifare il letto, quello per progetto, come l’allestimento di uno spettacolo, i gruppi elettivi – a me piace il calcio, a te il basket -, e infine il gruppo di livello che, contrariamente a quello che dicono i suoi detrattori, è uno strumento di integrazione perché serve agli insegnanti per tarare le lezioni non sulla base del programma ma dei bisogni del singolo, che dipendono appunto dal livello raggiunto». La suddivisione in gruppi per Bertagna non esclude affatto la possibilità di socializzare il sapere: chi è più avanti deve aiutare chi è più indietro. Certo – riconosce Bertagna – ci vuole molta sapienza da parte degli insegnanti, altrimenti si rischia di trasformare gli eccellenti in disadattati. «Cosa me ne faccio di un ottimo matematico se poi è un pessimo marito, padre o cittadino?».
Il punto è che la formazione di classi eterogenee non è solo più giusta ma anche più efficace. Nella classifica di ciò che funziona di più a scuola stilata da John Hattie in Visible Learning (una raccolta di oltre 50 mila ricerche che hanno coinvolto 80 milioni di studenti), la divisione per gruppi di abilità sta al 121esimo posto su 138. Il lavoro in piccoli gruppi in cui i ragazzi si aiutano reciprocamente al 24esimo.
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