Tiziana Cantone e Hillary Clinton in apparenza non avevano nulla in comune, invece un aspetto le rende simili: nessuna delle due persone aveva calcolato a sufficienza le insidie della rete. Una era la trentunenne che ha avuto la vita distrutta dalla pubblicazione su Internet, non voluta, dei video di suoi rapporti sessuali. L’altra è la prima candidata che può essere eletta alla presidenza degli Stati Uniti, al momento non certa di vincere perché da segretaria di Stato aveva impiegato la sua casella di posta elettronica privata al posto di quella istituzionale.
Sì, è vero, il web offre grandi opportunità, ha accorciato le distanze e così via.Questo, che ripetiamo spesso, è indubbio. Ma dobbiamo riconoscerci tutti un po’ primitivi, neofiti rispetto ai molteplici effetti di una delle più grandi innovazioni nei modi di comunicare se perfino Hillary Clinton (teorica di Internet propulsore della libertà) ci si è fatta male. Nel suo caso, trascurando quanto la casella privata, preferita per non lasciare propri messaggi controversi agli archivi statali, si sarebbe rivelata un boomerang perché inopportuna per e-mail con segreti di Stato.
Se possono essere state furbizia e pigrizia a indurre Clinton a offrire il fianco a inchieste dell’Fbi, Tiziana Cantone, che poteva apparire disinvolta, si è trovata a soffrire fino a darsi la morte in seguito a una candida ingenuità. Non aver messo in conto, nell’inviare i video a destinatari precisi, che per qualsiasi cosa viaggi in rete la distanza tra riservatezza e duratura pubblicità può consistere in pochi click.
Internet è un’autostrada. Ci passano sia i benefattori sia i delinquenti. Prima di accedervi è meglio conoscere le principali insidie e l’attuale debolezza di sistemi e norme a tutela della riservatezza. Per guidare un ciclomotore è necessario un patentino, l’aver appreso determinate informazioni. La ragione: risparmiare danni agli altri e a se stessi. Internet merita consapevolezze analoghe. Ai giovani la scuola fornisca lezioni essenziali affinché evitino di farsi male e — anche involontariamente — di fare del male.
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