di Nadia Urbinati, L’Huffington Post 22.6.2015.
Quando due anni fa si andò al voto, il Pd non si presentò agli elettori proponendo questa riforma della scuola (lo stesso vale per la riforma costituzionale). Poi, una crisi di governo ha portato a questo esecutivo che appronta queste riforme. Tutto regolare. La democrazia parlamentare prevede crisi di governo senza il ritorno alle urne, e inoltre in una democrazia rappresentativa non esiste – né vogliamo che esista – il mandato imperativo. Tuttavia sappiamo che un mandato politico è nelle regole non scritte di una democrazia rappresentativa fondata sui partiti, quel mezzo fondamentale attraverso il quale il nostro voto per rappresentanti senza mandato imperativo non diventa una delega in bianco; il partito ha un programma e anche se i suoi eletti sono liberi individualmente c’è però una certa garanzia (politica) che si attengano a quel programma.
Anche qui sta la differenza tra una democrazia rappresentativa e una oligarchia eletta o un governo rappresentativo di notabili. È una differenza politica, non giuridico-normativa; ma molto importante, se è vero che la democrazia è una diarchia di regole e di opinioni, di legittimità costituzionale e di legittimità morale. Spendiamo anni di lavoro per scrivere sensatamente di queste cose, svolgere argomentazioni ragionate e poi, ecco che arriva un signore al governo del paese, non eletto, e opplà!, tutto viene rovesciato. Oltretutto il segretario del Pd, Matteo Renzi, è segretario di un partito che prima della sua segreteria non sembrava proprio volere questo tipo di riforma della scuola. E Renzi non ha mai convocato un congresso per provare a correggere quelle parti del programma del Pd che a lui non piacciono. No. La sostituzione del segretario del Pd e del capo del governo è valsa da sola a cambiare il programma del partito e del governo.
Entrando nello specifico: questa riforma della scuola è pessima e inoltre nessuno ce la chiede come intervento d’emergenza e quindi non si capisce la ragione della fretta governativa. Il ricatto dell’assunzione dei 100.000 precari è qualcosa che per una democratica è fuori di ogni buon senso, soprattutto se proviene da un partito che si presume amico della democrazia rappresentativa. Si poteva fare un decreto sulle assunzioni come se ne fanno tanti, ma si è scelto il muso duro, come a voler recuperare consensi tra i precari, rompere il fronte sindacale e degli insegnanti, e in prospettiva invertire la rotta calante di consenso al Pd renziano. Tornare a fare i duri: così egli e i suoi hanno interpretato il calo dei consensi nelle recenti consultazioni. Ma si tratta di una lettura probabilmente sbagliata (è più ragionevole pensare che sia stata la corruzione a punire il Pd e insieme ad essa la paura leghista per gli immigrati; non il poco decisionismo). Si tratta anche di un calcolo miope e che probabilmente si torcerà contro questo signor decisionista.
Gli amici americani (moderati e democratici come quelli di Dissent) commentano con me il senso di questa riforma della scuola così: “Ma questa è una scuola pensata sul modello americano, quella che vorremmo cambiare”. Esattamente così. Vediamo i tre pilastri di questa riforma che sovverte il principio delle eguali condizioni di partenza, e che un partito che si chiama democratico dovrebbe radicalmente rivedere.
Per queste tre fondamentali ragioni almeno, questa riforma introduce gravi criteri di diseguaglianza di opportunitá dell’offerta educativa; gravi ragioni di discrezionalità e di perzialità di giudizio; discrimina i ragazzi in base alla fortuna che hanno di essere nati in una buona familgia o in un buon territorio, rompe il patto dell’eguale cittadinanza, crea strutturalmente scuole di serie A e di serie B e lo fa con i soldi dei contributenti. Ovvero lo Stato democratico finanzia l’ineguaglianza, usa i soldi di tutti per creare situazioni di privilegio. Si dirá, ma anche oggi ci sono scuole pubbliche di serie A e di serie B. Vero. Ma ora possiamo denunciare questo stato di cose. Con questa riforma, se passerá, la diseguaglianza verrá sancita per legge. Michael Walzer mi ha chiesto: perchè questa scelta? Ho risposto: Non lo so. Forse le riforme neo-liberiste le fa meglio un partito di centro-sinistra perchè gode dei consensi di coloro che più ci rimettono dalle riforme stesse. Stessa storia di sempre. Ma ora che la fede di partito si è consumata (e le recenti elezioni regionali lo hanno dimostrato) questa logica può essere smentita. Perseverare a muso duro può essere un boomerang per il Pd.
Un mandato politico non è una delega in bianco. Alle elezioni il Pd non propose questa riforma della scuola ultima modifica: 2015-06-26T06:35:36+02:00 daObiettivo scuola, 29.4.2024. Graduatorie d’istituto I fascia docenti: per chi è inserito nelle GAE, scelta…
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