di Giancarlo Cerini, scuola7, n. 79, 26.2.20178
È stato presentato il 22 febbraio u.s. in un partecipato incontro al MIUR dalla Ministra Fedeli un documento di lavoro relativo alle Indicazioni nazionali per il curricolo nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo: “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”. Di che cosa si tratta? Forse siamo in presenza di “nuove” Indicazioni? C’è qualche nuova disciplina all’orizzonte? Qual è l’utilità del documento? Avendo fatto parte del gruppo di lavoro che ha elaborato il testo, come membro del CSN (Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni) provo a sviluppare qualche riflessione in merito.
Intanto non siamo in presenza di “nuove” Indicazioni. Quelle del 2012 sono vive e vegete, anzi sono ancora in grado di produrre stimoli e suggestioni utili a orientare i curricoli delle scuole. I più maliziosi sostengono che molti insegnanti quelle Indicazioni non le conoscono a fondo, che nelle scuole prevalgono le vecchie routine, che poco è cambiato nel lavoro concreto in classe. È un giudizio troppo sbrigativo, ma in generale nelle scuole c’è sempre uno scarto tra teoria e pratica, tra nuove proposte e didattica quotidiana, perché spesso sono i libri di testo a “fare il curricolo” e non è scontato che le nostre classi si siano trasformate in “ambienti di apprendimento” come suggeriscono le Indicazioni/2012. Non è un caso che un certo mondo accademico e tanti insegnanti guardino con sospetto alla didattica per competenze, preoccupati che la “novità” vada a scapito dell’acquisizione delle strumentalità e delle conoscenze fondamentali. Il documento sui “nuovi scenari” vorrebbe fare un po’ di chiarezza su questi aspetti, facendo diventare il tema delle “competenze chiave di cittadinanza” lo sfondo integratore della scuola di base per i prossimi anni.
Ma anche in questo caso ci sono molti equivoci. Le competenze di cittadinanza non sono una nuova “materia”, ma un modo intelligente per dare un senso unitario ai saperi di base che la scuola deve garantire. Sulla scia dei documenti europei (in particolare le 8 competenze chiave del 2006, che sono oggetto di revisione da parte degli organismi europei) le competenze chiave rappresentano il “sale dell’apprendimento”, il valore aggiunto che ogni disciplina di studio può apportare alla formazione di ragazze e ragazzi. Dunque non si riferiscono solo ai comportamenti o alle competenze personali, civiche e sociali. Certo hanno a che fare con la cittadinanza attiva, cioè con il mettere in pratica nella vita delle classi comportamenti proattivi, consapevoli, responsabili. E sarà necessario farne oggetto di valutazione (v. il D.lgs. 62/2017). Ma qui interessa cogliere la dimensione cognitiva della cittadinanza, cioè l’idea che ogni disciplina – se ben fatta – arricchisce e fortifica la cittadinanza, perché fornisce quegli strumenti culturali (gli alfabeti, i linguaggi, le abilità, le conoscenze) che aiutano a vivere da protagonisti lo studio, la vita sociale e, un domani, il lavoro. Dunque, l’idea di cittadinanza si avvera a contatto con gli apprendimenti disciplinari. Pensiamo, ad esempio, alla lingua come strumento fondamentale della cittadinanza consapevole: la capacità di esprimersi e comunicare, la padronanza del lessico, la comprensione dei testi ecc. sono tutti elementi decisivi se vogliamo parlare di libertà di parola (art. 21 della Costituzione). Ma di questi aspetti già si parla abbondantemente nelle “Linee Guida” per la certificazione delle competenze (nota n. 312 del 9 gennaio 2018), che riassumono in sintesi le tante questioni che ruotano attorno al concetto di competenza, visto che poi stanno alla base della compilazione delle certificazioni da rilasciare al termine della classe quinta elementare e terza media. C’è dunque dell’altro.
In effetti, il documento scaturisce da una precisa indicazione della Ministra che, avendo ascoltato proposte di esperti, lamentazioni di opinionisti, direttive europee, esigenze provenienti dalle scuole, ha segnalato al Comitato Scientifico per il primo ciclo alcune priorità da considerare guardando alla formazione futura delle giovani generazioni. Ci riferiamo a:
Certamente non basta fare un elenco di temi affinché la scuola li prenda in considerazione. Ormai ci sono pagine e pagine di documenti, linee guida, dichiarazioni di intenti. Un documento “vale” se fa intravedere una prospettiva culturale significativa, se è in grado di suggerire pratiche didattiche efficaci, se consente di ripensare la propria professionalità, senza aggiungere ulteriori “materie” o attività. Questo documento “breve” dovrebbe aiutare a riprendere in mano le Indicazioni/2012, “rileggendole” alla luce delle priorità illustrate nei diversi paragrafi, attraverso un’operazione di selezione, di approfondimento, di integrazione operativa. Dunque si tratterà di affrontare nel corso della formazione in servizio questi nuclei tematici, di collegare Indicazioni, curricolo e lavoro in aula (ad esempio, chiedersi che significa lavorare per promuovere le “competenze”), di riscoprire gli elementi “fondamentali” del fare scuola, di approfittare del documento del CSN per fare un check-up sensato allo stato di salute della didattica. In fondo le competenze di cittadinanza possono essere viste anche come:
Se ogni disciplina delle Indicazioni fosse riletta in questa ottica (e lo si può fare anche adesso), certamente la didattica potrebbe guadagnarci, e la scuola di base risponderebbe pienamente ai suoi compiti di prima alfabetizzazione (strumentale, funzionale, culturale). Fare cittadinanza non significa accontentarsi di qualche progetto in più, ma essere coerenti con i compiti formativi della scuola fin dai suoi primi anni, a partire dalla scuola dell’infanzia, che in effetti nel documento riconferma il suo posizionamento strategico di primo gradino dell’incontro con i saperi (brunerianamente parlando).
Indicazioni, programmi didattici, linee guida non valgono di per sé, ma solo se sono in grado di smuovere processi culturali, formazione in servizio, atteggiamento sperimentale, curiosità per ricercare e rinnovare metodi didattici, contenuti, ambienti di apprendimento. Diventano decisivi i processi di formazione in servizio. Alcuni strumenti ci sono:
La formazione in servizio non è tutto ma, se ben fatta, può diventare un’occasione di crescita per tutta la scuola.
Qualcuno si è meravigliato che in extremis, cioè nel frangente di elezioni, governo, situazioni incerte, la Ministra abbia sollecitato l’uscita di questo documento. Mossa elettorale? Ripensamento fuori tempo massimo del valore della scuola di base? Risposta a sollecitazioni di qualche lobby culturale o di opinione? Più semplicemente, il Comitato Scientifico Nazionale che ha prodotto il documento è al 5° anno di funzionamento (con scadenza a luglio 2019), ha visto il succedersi dei vari ministri pro-tempore, ma ha cercato di rispondere al mandato istitutivo che parla di “accompagnare” le indicazioni, contribuire al miglioramento della didattica, procedere se del caso all’aggiornamento delle Indicazioni, ad integrazioni, revisioni, semplificazioni. Operazione delicata, che si farebbe in ogni caso solo dopo un lungo dialogo con il mondo della scuola, perché il progetto culturale (curricolare e didattico) della scuola di base non appartiene a questo o a quel ministro, né è il frutto di una sola legislatura, ma rappresenta un punto di possibile convergenza tra molti. È di buon auspicio che la Ministra Valeria Fedeli abbia colto questo spirito, e proponga ora un lavoro che va molto al di là delle contingenze politiche o degli esiti elettorali, ma chiama tutti – ai vari livelli – ad assumersi le loro responsabilità (culturali). Poi, è vero, ci sono tante condizioni che richiedono una buona politica scolastica. Ma questo è un capitolo tutto da scrivere, oltre che da leggere.
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