Al dipendente pubblico ammesso al dottorato spetta lo stipendio «pieno» della Pa di appartenenza

di Federico Gavioli, Il Sole 24 Ore, 6.6.2019

Corte di Cassazione,  sentenza n. 432/2019 –

Il dipendente pubblico ammesso a frequentare corsi di dottorato di ricerca, che non fruisca di borsa di studio, conserva il trattamento economico di cui godeva presso l’amministrazione di appartenenza, comprensivo di tutte le voci retributive spettanti in ragione della qualifica rivestita, esclusi solo i compensi caratterizzati «da aleatorietà, perché subordinati alla ricorrenza di ulteriori condizioni, da verificare in relazione alle effettive modalità di svolgimento della prestazione». Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso di un’università.

Il contenzioso

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva parzialmente accolto le richieste di un dipendente pubblico che pretendeva la condanna dell’amministrazione al pagamento dell’indennità di risultato relativa al 2005 nonché dell’indennità accessoria mensile e dell’indennità di responsabilità per il periodo 1° gennaio 2005/31 dicembre 2007.

I giudici del merito, nel premettere che il dipendente aveva fruito di congedo straordinario per lo svolgimento di dottorato di ricerca, hanno evidenziato che la normativa di riferimento riconosce il diritto del dipendente, ammesso alla frequenza del dottorato e non titolare di borsa di studio, a conservare il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento; gli stessi giudici hanno ritenuto che non è consentito escludere dalla garanzia di conservazione tutte le voci che compongono il salario accessorio, comprese quelle dovute per il solo fatto dello svolgimento della prestazione lavorativa.

La Corte d’appello ha ritenuto che dovessero essere corrisposte al dipendente sia l’indennità accessoria mensile che l’indennità di risultato, perché l’accordo integrativo di riferimento del 3 ottobre 2005 ne aveva previsto l’erogazione in misura fissa, a prescindere dalla ricorrenza di ulteriori condizioni.

La sentenza della Cassazione

Per la Cassazione, i giudici di secondo grado hanno correttamente interpretato l’articolo 2 della legge 476 del 1984 (come modificato dall’articolo 52, comma 57, della legge 448/2001).
La norma, nella sua versione originaria, si limitava a prevedere che «il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza».

Ma con l’articolo 52 della legge 448/2001, sono stati inseriti nel primo comma due ulteriori periodi stabilendo che «in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti (…)».

La Cassazione sottolinea che la finalità della norma, come ampiamente evidenziato in casi precedenti, è che la citata legge del 2001 ha previsto il diritto dei dipendenti pubblici alla conservazione del trattamento economico al fine di incentivare l’arricchimento del bagaglio culturale dei dipendenti stessi, a prescindere dalle soglie di reddito.

Nello stesso tempo, però, il legislatore ha fissato un periodo minimo di due anni di permanenza nel posto di lavoro successivamente al conseguimento del titolo, per consentire all’amministrazione di fruire delle conoscenze acquisite dal dipendente grazie agli studi post-universitari e in tal modo «ha ritenuto di contemperare il diritto allo studio del pubblico dipendente con l’interesse della pubblica amministrazione, stabilendo, da una parte, l’incondizionata erogazione di un emolumento economico (la borsa di studio o la retribuzione) e dall’altra una condizione di stabilità del rapporto di pubblico impiego, che giustifica la deroga per il periodo di svolgimento del dottorato, al principio generale di sinallagmaticità».

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Al dipendente pubblico ammesso al dottorato spetta lo stipendio «pieno» della Pa di appartenenza ultima modifica: 2019-06-05T06:15:05+02:00 da
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