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Giannini: «La scuola italiana deve diventare un modello»

Il superamento di steccati tra culture umanistica e scientifica, esattamente come accadeva nel Rinascimento quando il sapere era unico, l’Italia che deve essere il punto di riferimento culturale per l’Occidente, e una scuola che sia il presupposto irrinunciabile di questa visione: con queste parole il ministro per l’Istruzione, Stefania Giannini, intervenuta agli Stati Generali della Cultura, organizzati ieri a Roma dal Sole 24 Ore, ha spiegato come interpreta il proprio ruolo al Miur, sottolineando i risultati raggiunti e i prossimi obiettivi.

«Con la legge 107 abbiamo assunto più di 8mila insegnanti preparati e specializzati in arte e musica. Complessivamente l’anno scorso erano 29mila. Un numero significativo, un’opportunità per la scuola italiana, nell’autonomia scolastica, che non abbiamo volutamente tradotto in più ore di storia dell’arte o in più ore di musica: abbiamo fornito gli strumenti, cioè le persone e la preparazione di base», ha detto Giannini. Un provvedimento che riconosce la centralità delle arti nella storia del nostro Paese, in base al progetto educativo così efficacemente riassunto dall’acronimo «Steam, come ha detto bene Gianfelice Rocca all’Assemblea di Assolombarda, dove si aggiunge la A di Arts alle competenze che appartengono alle scienze dure (Science, Technology, Engineering and Math). Ma con Arts intendo quell’approccio umanistico e quell’insieme di valori che sono i valori del pensiero critico, della logica, della filosofia che, se cementati fin dalla scuola primaria, possono veramente diventare il modello educativo italiano».

L’oltrepassare le barriere, ha osservato il ministro, va inteso anche in una dimensione politica dove la collaborazione interministeriale è necessaria. E su questo punto Giannini ha rivendicato la stagione virtuosa che si sta vivendo sotto il Governo Renzi, all’insegna del dialogo tra il suo ministero e quello della Cultura retto da Dario Franceschini. «Porto un esempio molto concreto» dice, chiamando in causa l’esperienza inconcludente della facoltà dei Beni culturali nata negli anni 80 con l’ambizione di sbocchi professionali nell’ambito dell’arte e della cultura e trasformatasi in una sorta «di Lettere bis: allora è meglio l’originale della copia. Il punto cruciale è il lavoro per quei 20mila giovani iscritti nelle cinque sedi rimaste in Italia. Lo sbocco occupazionale è rimasto appeso. Noi ripartiamo da lì». Una prima risposta è «lo schema dell’alternanza scuola-lavoro applicato al mondo dei beni culturali, alla gestione e alla valorizzazione del nostro patrimoni» (un provvedimento anticipato ieri sul Sole 24 Ore). Si tratta del progetto Pompei, destinato per il ministro a diventare un progetto bandiera, anche per il luogo altamente simbolico che è stato prescelto: interessa 15 scuole e mille allievi, la cui formazione in itinere sarà rivolta a diverse competenze, dal marketing culturale all’ambiente, dal restauro alla cura del verde fino all’informatica. E questa scelta di portare gli studenti nel cuore del patrimonio risponde anche a un’esigenza strategica, oltre che strettamente concreta, che è quella di «alimentare la sensibilità. Se non si crea una domanda, se non si suscita l’ansia di voler fruire di un bene culturale, se non si riaccende la sensibilità storica, non c’è legge, non c’è classe politica, non c’è Governo della Repubblica che possa dare al nostro Paese un indirizzo diverso».

Proprio su queste note si era conclusa la sessione dedicata a «Libro,eBook e coding. Una proposta per la buona scuola», con il maestro Franco Lorenzoni che ha entusiasmato la platea raccontando della sua quotidianità con i bambini e di come l’arte – al pari della matematica, se ben trasmessa – sia uno stimolo potentissimo e una grande opportunità di crescita per i piccoli allievi. La sessione è stata introdotta dal responsabile della Domenica del Sole 24 Ore Armando Massarenti, che ha sottolineato «l’importanza di inserire nella scuola l’idea del pensiero critico, cioè della capacità di ragionare e di analizzare le questioni, legandolo alla nozione di cittadinanza», un tema su cui il supplemento si spende da tempo, e ha ribadito un altro elemento forte (anch’esso nel Dna della Domenica), quello dell’unicità dei saperi e della consapevolezza che deve esserci su questo fronte nel formare le nuove generazioni.

Il professore dell’Università di Milano Biccoca Paolo Ferri si è soffermato sul Piano nazionale Scuola digitale, il primo elaborato dal 1998, cioè dal Piano di sviluppo delle tecnologie didattiche di Luigi Berlinguer. Secondo il provvedimento, entro il 2020 avremo la banda larga o ultralarga e il wi-fi in tutte le scuole, passando a scuole interamente connesse dal 9-10 per cento attuale.

Roberto Casati, infine, ha offerto una riflessione sull’uso (corretto) delle tecnologie, cui va necessariamente associata la lettura in classe.

Giannini: «La scuola italiana deve diventare un modello» ultima modifica: 2015-10-30T06:15:47+01:00 da
Gilda Venezia

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