Serenus Zeitblom Panorama, 27.6.2015
Ruolo del super preside, giudizio sugli insegnanti, la loro formazione e le detrazioni:
troppa differenza tra dire e fare
Com’è noto, la strada per venire giù da noi all’Inferno è lastricata di buone intenzioni. E poiché è una strada a senso unico, ma molto trafficata, occorre aggiustare il manto stradale piuttosto spesso. Per questo, i colleghi diavoli che si occupano di lavori pubblici infernali adorano il Ministero dell’Istruzione della Repubblica Italiana. Le riforme della Scuola sfornare a getto continuo sono un giacimento di materiale pressoché inesauribile per rifare il selciato della via degli inferi. L’Italia vanta infatti il poco invidiabile primato del maggior numero di riforme scolastiche in Europa (e probabilmente nel mondo) dal dopoguerra ad oggi.
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Il Governo Renzi naturalmente non ha voluto perdere la sua opportunità. Il Premier si è improvvisamente ricordato di avere un Ministro dell’Istruzione (la professoressa Giannini, portata in Parlamento e al Governo dal silenzioso Monti) e le ha commissionato una riforma che – con lo spirito creativo che la contraddistingue – ha chiamato della “buona scuola”. In verità, tutti gli italiani si erano dimenticati dell’esistenza del Ministro Giannini (finora si era distinta solo per un topless ministeriale esibito con un certo coraggio estetico sulle spiagge di Marina di Massa).
Bisogna riconoscere che Renzi va parlando di scuola dal giorno stesso in cui defenestrò Enrico Letta da Palazzo Chigi. A settembre, una circolare ministeriale annunciava, pur nel linguaggio criptico caratteristico di questi documenti, l’apertura di una “fase di ascolto” nei confronti del mondo della scuola. Evidentemente però Renzi non ci sente molto bene, nell’ascolto qualcosa non deve aver funzionato, se è vero che tutti nella scuola, e parecchi nel PD, si sono infuriati per il risultato finale. Tanto è vero che lo stesso Renzi, fino a qualche giorno fa, preoccupato dai suoi numeri “ballerini” al Senato, aveva annunciato uno stop e un rinvio di tutta la materia ad una “conferenza nazionale”: un carrozzone con sindacati, insegnanti, studenti, famiglie, bidelli e lavapiatti delle mense scolastiche, perfetto per insabbiare tutto e non decidere nulla.
Il ricatto ha funzionato perfettamente sulla minoranza interna (‘ultima cosa della quale Renzi ha paura in questo momento): il rischio di essere additati come responsabili della mancata assunzione di 100.000 precari era troppo per le fragili coronarie della vecchia sinistra PD. Come perdere una simile occasione di statalismo assistenziale e di crescita della spesa pubblica?
Resta il fatto che – precari a parte, e non tutti – nessuno nella scuola è contento della riforma, specialmente gli insegnanti, con parecchia valide ragioni. Vediamole.
Questa è la riforma che Renzi chiama “buona scuola”. Forse una differenza c’è davvero rispetto al passato: stavolta non ci sono neppure le buone intenzioni.
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