di Antonio Gurrado, Il Foglio, 17.12.2017
– Professori, niente paternalismo. I primi alleati sono gli studenti.
Se i gruppi Whatsapp dei genitori degli alunni sono un esempio di grillismo spiccio applicato all’istruzione, è anche a causa dell’evoluzione dell’interfaccia fra la scuola e le famiglie. Prendiamo il registro elettronico. Vituperato dai docenti per insipienza informatica e generico tradizionalismo, è uno strumento di per sé utile e comodo che nasconde un’insidia sottovalutata: consente alle famiglie di monitorare il figlio in tempo reale. Il figlio bigia, arriva in ritardo o prende una nota e il genitore lo sa. A casa si sa sempre tutto, talvolta prima degli alunni stessi: può capitare che un prof. inserisca un voto appena conclusa un’interrogazione e le famiglie possano accedervi prima che venga comunicato al diretto interessato a fine ora. Quest’apertura comunicativa ha il grave difetto di passare da internet, ovvero dallo stesso mezzo attraverso cui un dilettante s’informa superficialmente e crede di saperla lunga; dà al genitore una presa diretta sulla scuola che lo illude di esserci dentro perché ne vede documentata l’attività, alla stregua di un malato convinto di scovare su Google cure che l’ospedale gli nasconde o di un attivista da tastiera persuaso di saper far politica perché può scrutare le scansioni degli scontrini dei parlamentari alla buvette.
E’ la disintermediazione, e un governo interessato alla competenza – parola chiave nella legislazione sull’apprendimento dei discenti e sull’aggiornamento dei docenti – dovrebbe osteggiarla perché significa confusione dei ruoli e disconoscimento delle prerogative. Peggio di un genitore che vuol fare il professore c’è forse solo un professore che vuol fare un genitore. La comprensività, benvenuta quantunque, è perniciosa quando tracima nella partecipazione irrazionale alla vita dell’alunno, ovvero al tentativo di valutare in lui la persona oltre che lo studente. Vale in positivo e in negativo; sia per quando se ne giustificano le carenze sia per quando ci s’incaponisce su trascurabili minuzie disciplinari. A un insegnante che mi chiedesse come arginare la prepotenza (magari merlettata e untuosa) dei genitori che intendono porre becco nella sua giurisdizione, direi per prima cosa di evitare che i consigli di classe diventino sede dell’intercessione fra colleghi per chiudere un occhio o per accanirsi di là dall’effettivo rendimento scolastico; e uscire dalla retorica secondo cui la scuola deve formare la persona. Se l’ambizione è questa, allora le famiglie hanno ogni diritto di interferire, perché il loro compito coincide. Ma se la scuola dichiara di trasmettere sapere, i genitori devono vedersela con l’invalicabile limite che li separa dagli insegnanti detentori di quel sapere.
Niente paternalismo, a scuola. Niente istinto materno andato a male. Trattare gli alunni da adulti non appena possibile è il modo migliore per renderli tali e ottenere preziosi alleati nel ridimensionare le loro stesse famiglie. Quanto poi ai consigli pratici per fronteggiare i genitori – specie in questi giorni di ricevimenti generali dei parenti, che in un solo pomeriggio possono sottrarre anni di vita – il più efficace è interrogarli. Non mi riferisco solo a quelli che vengono a rivelare di essere laureati nella stessa materia che si insegna, anche se poi hanno scelto tutt’altro mestiere, e che conviene coinvolgere, fingendo entusiasmo, in discettazioni sempre più capillari su argomenti specifici fino a che non s’inceppano e si vedono costretti a battere in ritirata. Dico proprio che quando vengono ai colloqui bisogna iniziare a parlare prima di loro e chiedere come va loro figlio, se a casa si apre, se ha hobby, se racconta della scuola, cosa vuol fare da grande, come s’immagina la vita adulta. Se ne ricavano informazioni preziose, si lascia intendere che le famiglie ne sanno di più, si dimostra loro che l’educazione è bilaterale e che, avendo l’alunno a cuore, anche gli insegnanti hanno diritto di informarsi presso i genitori. Di solito anche i più bellicosi, in trasferta, si accontentano di un pareggio.
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