di Fabio Luppino, Huffington Post, 15.5.2020
Come se nulla fosse successo il ministero dell’Istruzione continua a sfornare ordinanze alla vecchia maniera. Il Comitatone (o task force) si occupa dell’aerea e molto teorica gestione del domani (ma ci torniamo), mentre i funzionari guardano al sodo, alla giurisprudenza. Nell’uno e nell’altro caso, coincidenza, si continua a scaricare ogni decisiva responsabilità sulle spalle di presidi e insegnanti.
Il Comitatone invita i docenti a ripensarsi, a considerare finita l’idea di scuola in voga dal 1859, fondata sulla classe, ad aprirsi al mondo nuovo dell’insegnamento a distanza, per parti separate (a distanza e in presenza), sul territorio, in biblioteca, nei boschi, finanche a teatro. I funzionari di viale Trastevere invece, vecchie volpi, sfornano documenti in cui i vari acronimi nascondono insidie ben più pesanti dell’apparenza. In questi giorni tra i professori, (ma anche tra i presidi) si parla molto del Pai, che sta per Piani di apprendimento individualizzati (ricordiamoci anche che i docenti, ogni anno ,devono seguire i ragazzi Bes e Dsa). Nella enne ordinanza sfornata dal ministero si chiede ai docenti di elaborare per ogni studente un quadro che indichi dove sia arrivato nell’apprendimento e dove invece doveva arrivare, lasciando in memoria quel che sul soggetto si dovrà fare, quando le scuole riapriranno a settembre, dal primo settembre ha stabilito il ministero contravvenendo all’autonomia regionale in materia di calendario scolastico (vediamo se anche qui non scoppierà un conflitto).
Ma a settembre secondo il Comitatone dovrebbero iniziare le lezioni con mezza classe in classe e mezza a casa, collegata. Per cui si avvierà una complicatissima sperimentazione di lezioni, a cui si dovrà sovrapporre il recupero dei ragazzi finiti nei Pai (e quanti saranno?), sempre nella stessa struttura scolastica. A cosa serve questo nuovo aggravio burocratico per i docenti? Apparentemente e nelle condizioni strutturali date, a poco. In realtà, nei meandri giuridici, a tutelare il ministero, attraverso gli insegnanti: che tutto quello che doveva essere fatto è stato fatto. Nella scuola moderna dove i genitori invece di prendere per le orecchie i propri figli che non studiano vanno dall’avvocato per fare ricorsi, una cosa del tutto ineducativa, pensare male e tutelarsi è sempre meglio che non farlo.
Qui però sta il problema dei problemi, di cui da alcuni giorni si stanno occupando i presidi, e non solo loro. Non basta il protocollo del Comitato tecnico scientifico, come per esempio si sta facendo per tenere in presenza gli esami della maturità 2020. Gli scienziati (chiamiamoli così ma ci sarebbe parecchio da dire) indicano quel che si deve fare per un’adeguata tenuta sanitaria dell’esame. Ma non sono loro a dover dire cosa succede, e soprattutto di chi è la responsabilità, se un maturando dopo l’esame inizia a manifestare sintomi del Covid: della ministra Azzolina? Del ministero? Dei presidi? Dei presidenti di commissione? Della commissione tutta? Dei bidelli? Dei dsga? Di chi, allora? Nella scuola dei ricorsi non è un particolare di poco conto. Per non dire se si dovessero ammalare, poi, i professori, o lo stesso presidente di commissione (presidenti che, per inciso, il ministero per ora non riesce a trovare in numero sufficiente, quando manca un mese all’esame). Ma, si sa, gli adulti che fanno la scuola sono l’ultima ruota del carro, benché nelle manifestazioni di pubblica politica retorica vengano sempre indicati come il pilastro della nazione (nella media stipendiale dei docenti pilastri a mille e cinquecento euro al mese).
In una intervista su un sito specializzato e molto seguito da chi fa scuola, il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonio GIannelli, sollevava proprio il problema di “responsabilità improprie” per dirigenti scolastici e docenti, a partire da settembre, e invitata all’esame di maturità a distanza per lo stesso motivo. Citiamo: “Devono essere introdotte delle innovazioni legislative -dice Giannelli-. poiché il decreto Cura Italia ha stabilito che il contagio è considerato infortunio sul lavoro, che è un modo folle di interpretare la responsabilità. Quindi abbiamo chiesto che si tenga conto del problema e che dal punto di vista delle responsabilità non si debba essere perseguibili, fermo restando il tema della tutela dei lavoratori. In altri termini, l’esigenza di riaprire le scuole è una scelta politica ma le conseguenze delle scelte non possono ricadere sui presidi e i docenti”. Ecco, Giannelli è allarmato e ha trasferito il suo allarme alla ministra e al Comitatone. Forse non tutti sanno che tra gli oneri dei docenti c’è anche la vigilanza, con conseguenti responsabilità, anche penali. Il presidente dei presidi osserva, parlando dei professori: “Per loro vale qualcosa di analogo, hanno la responsabilità di una classe, se non si rispettano le regole sarebbero responsabili, come succede con la vigilanza. Si pensi agli alunni che non stessero al loro posto o ad altre situazioni simili: ma come possono fare i docenti per impedire che un alunno non tolga per scherzo la mascherina al compagno nel cambio d’ora? Come si fa a caricare le persone di queste responsabilità? I compiti dei lavoratori devono essere esigibili, ma se diventano inesigibili…”.
Insomma, non sono cose di poco conto. A cui si deve aggiungere chi sanifica. Non è pensabile immaginare che lo facciano i bidelli, naturalmente, non stiamo parlando di una situazione ordinaria. Giannelli fa delle proposte, ma sarebbe interessante sapere al più presto cosa stia partorendo il ministero di viale Trastevere. Non basta dire, è evidente, dovete fare così, ma anche chi paga, di chi è la responsabilità. Quali siano, appunto, i corollari dei protocolli, forse i primi più importanti dei secondi. Con un governo che ha rovesciato tutta la responsabilità sul popolo, c’è poco da stare allegri.
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