di Lorenzo Vendemiale, Il Fatto Quotidiano, 22.10.2018
– Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare la bozza di accordo tra Stato e le due amministrazioni locali, che l’anno scorso hanno visto vincere il sì al referendum per avere maggiori poteri. Per l’istruzione nazionale potrebbe essere una vera rivoluzione: un quarto dei docenti diventerebbe dipendente regionale, con adeguamento dello stipendio (verso l’alto). Per molti sarebbe l’inizio della fine del sistema scolastico nazionale, con la nascita di istituti di Serie A (quelli delle regioni ricche) e di Serie B (delle zone povere del Paese).
DOCENTI REGIONALI – Al Nord hanno sempre puntato il dito sul problema delle cattedre vuote. Non è solo la retorica, vagamente discriminatoria, dell’invasione dei professorimeridionali, c’è anche un dato oggettivo: vuoi perché la maggior parte dei docenti viene dal Sud, vuoi perché tanti dopo aver preso servizio al Nord chiedono il trasferimento, in alcune Regioni settentrionali, e su alcune particolari materie (ad esempio sostegno, lettere, matematica), c’è una forte carenza di personale, che nemmeno i recenti concorsi hanno risolto. Ecco perché gli autonomisti sono determinati a trasformare gli insegnanti in dipendenti regionali: in capo all’amministrazione locale, e non più al Ministero dell’istruzione, con tutto ciò che ne consegue.
STOP AI TRASFERIMENTI E CONCORSI LOCALI – La conseguenza più ovvia riguarda la mobilità: fermata, o quantomeno molto limitata. I docenti veneti saranno assunti dalla Regione, e dunque potranno spostarsi solo al suo interno. Chiedere il trasferimento fuori Regione non sarà del tutto impossibile (dovrebbero essere previste delle finestre temporaliad hoc), ma sarà come chiedere il trasferimento presso un’altra amministrazione pubblica, quindi molto più difficile (e meno conveniente). Questo varrà per tutti gli insegnanti assunti in futuro, mentre a quelli già in cattedra sarà data possibilità di scegliere se rimanere in servizio presso il Miur o transitare alla Regione.
LE ALTRE NOVITÀ: STIPENDI PIÙ ALTI, PROGRAMMI E UFFICI – Potrebbe valerne la pena anche per lo stipendio: il Veneto studia forme di retribuzione maggiore per i suoi insegnanti. Sarà possibile farlo, del resto, con la nuova autonomia e le risorse a disposizione di una Regione ricca come il Veneto. Il minimo sarà garantito e livellato sui contrattinazionali, il “bonus”, invece, sarà su base meritocratica, un po’ come voleva fare la “Buona scuola” renziana (prima che venisse smontata dai sindacati), ma con un sistema di valutazionelocale. Le altre novità riguardano i programmi e l’offerta formativa, che potranno essere personalizzati: il Veneto, ad esempio, ha già firmato un accordo col Miur che prevede l’insegnamento di storia e cultura veneta (all’interno dei corsi esistenti), dalle elementari alle superiori; in Lombardia, invece, spariranno gli istituti tecnici (i cosiddetti Its) che verranno assorbiti dai percorsi di istruzione e formazione professionale(uno dei vanti della Regione). Dappertutto gli uffici (l’Usr regionale o l’ex provveditorato) con relativo personale transiteranno all’amministrazione locale, e non saranno più delle propaggini del Miur.
EFFICIENZA O DISCRIMINAZIONE? – Molto dipenderà dai soldi, e da quante risorse saranno effettivamente trasferite dallo Stato alle Regioni (il pacchetto scuola per il Veneto potrebbe valere circa 2 miliardi). La trattativa è in corso, però queste prime indicazione contenute nella bozza già tracciano una strada: il cambiamento sarà graduale, non tutti i docenti passeranno subito alle Regioni, ma potenzialmente Veneto e Lombardia valgono da sole un quarto delle cattedre del Paese; portare 200mila docenti fuori dal sistema nazionale sarebbe una svolta epocale. Positiva, secondo Elena Donazzan, assessore all’Istruzione del Veneto in prima fila nella riforma: “L’organizzazione militare del Miur, fatta di uffici, vincoli, regolamenti incrociati, non è in grado di gestire le esigenze della scuola. Affidarle al territorio è l’unica soluzione possibile”. Così, ad esempio, il Veneto potrà bandirsi i suoi concorsi per le materie scoperte, senza aspettare i tempi macchinosi del Ministero: “A noi mancano 9mila insegnanti di sostegno, nel 2020 finalmente potremo assumerli”. L’altra faccia della medaglia è il rischio di smontare il sistema nazionale: se il Veneto otterrà ciò che chiede, potrebbe essere seguito da Lombardia e altre Regioni ricche, mentre in capo al Miur resterebbero poche Regioni. Sindacati, tecnici, ed esponenti del governo e dell’opposizione attenti alle esigenze del Meridione si chiedono se sia questo il futuro della scuola italiana. Anzi, delle scuole italiane, visto che ne esisteranno diverse, di Serie A, B e C, e non più una sola.
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Autonomia, Veneto e Lombardia vogliono ‘regionalizzare’ 200mila cattedre: la scuola italiana rischia di avere 2 velocità ultima modifica: 2018-10-23T05:08:30+02:00 da