di Eleonora Fortunato, Orizzonte Scuola, 10.5.2016
Alessandra Cenerini, Presidente ADI, sulle prove scritte del concorso. Per lettere: i quesiti a risposta aperta vanno bene, ma non se si scimmiottano titoli di temi o relazioni complesse.
Ha destato stupore e clamore tra i concorrenti degli ambiti che riguardano l’insegnamento di lettere la richiesta di predisporre diverse unità di apprendimento in soli 15 minuti per ciascuna.
Si può chiedere a un futuro docente di improvvisare un percorso didattico in così poco tempo?
“In premessa devo dire che avere definitivamente abbandonato prove concorsuali scritte della durata di 6 o 8 ore, che assomigliavano più a composizioni letterarie che a prove d’esame, è stato sicuramente un passo avanti. In questo senso ritengo giusta l’impostazione di prove con quesiti a risposta aperta, una struttura che stimola la sintesi e la capacità del candidato di andare al cuore del problema. Il punto è che, stabilita questa struttura, non si possono poi costruire domande che scimmiottano titoli di “temi” o di complesse relazioni. Un concorso serio avrebbe dovuto: 1) costruire domande avendo preliminarmente stabilito, e comunicato ai candidati nel bando, il numero dei caratteri per ogni risposta (visto che la prova è computer based), tale da consentire una correzione rapida, accurata e il più possibile obiettiva, 2) formulare, in correlazione alle risposte, il tempo assegnato (otto domande in 150 minuti sono troppe), 3) esplicitare preliminarmente i criteri di valutazione, espressi in modo chiaro e in forma gerarchica, dal più importante al meno importante. Nulla di tutto questo è stato fatto”.
C’è molto timore circa la soggettività nei criteri di valutazione, lo condivide?
“Lo condivido per almeno due motivi: 1) la composizione eterogenea delle commissioni, costituite non da valutatori professionisti, ma da colleghi che, nella maggioranza dei casi, non hanno alcuna esperienza di valutazioni ai fini del reclutamento, 2) l’assenza della definizione preliminare dei criteri di valutazione. Infine in questo tipo di concorsi a valenza nazionale, se si vogliono scongiurare fenomeni tristemente noti, le prove dovrebbero essere corrette e valutate da una commissione regionale diversa da quella dove si sono svolti gli esami”.
Quali sono i limiti di un simile impianto concorsuale nel suo complesso?
“Veniamo al punto vero, al di là della contingenza di questo concorso. Un reclutamento ben impostato deve soddisfare due esigenze: 1) valutare rigorosamente il merito; 2) non riprodurre precariato. Ora gli screditati concorsi nazionali, per giunta triennali, non risolvono nessuno di questi due problemi. Lo sappiamo da decenni, siamo quindi in presenza di una drammatica coazione a ripetere. L’ADI da tempo propone concorsi di scuola o di rete di scuole con cadenza annuale, come in Francia, o meglio ogni volta che si è in presenza di posti vacanti stabili. Non inventiamo nulla di nuovo, l’aveva già proposto nel lontano 1997 la commissione D’Amore, insediata dal ministro Berlinguer, in collegamento con l’istituzione dell’autonomia scolastica!”.