Il 23 luglio si è tenuta la fase pre-selettiva del concorsone per Dirigenti Scolastici organizzato dal Miur: una prima scrematura che selezionerà circa 9000 candidati di tutta Italia che accederanno alle fasi successive per conquistare uno dei 2500 posti di prestigio nella pubblica amministrazione.
Cento, i quesiti a risposta multipla estratti a sorte tra i 4mila pubblicati a fine giugno. E di questi cento, neppure uno di ambito pedagogico-educativo.
A sottolineare la totale assenza di competenze educative richieste ai futuri Dirigenti è, tra gli altri, il pedagogista Daniele Novara, che su Twitter sottolinea: “Incredibile ma vero: nemmeno una domanda di pedagogia o di problematiche educative alla prova pre-selettiva dei nuovi dirigenti scolastici. Come se a un medico non si facesse nemmeno una domanda di medicina”.
Incredibile davvero, soprattutto se si pensa che, grazie alla legge sull’autonomia scolastica, sono diventati responsabilità diretta dei diversi istituti: la creazione di un piano dell’offerta formativa, la strutturazione dell’orario, l’attivazione di piani scolastici individualizzati per bambini con bisogni specifici, la progettazione formativa, la ricerca valutativa, la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico, l’innovazione metodologica e disciplinare e la ricerca didattica.
Tutti ambiti impossibili da comprendere e da sostenere senza una base adeguata di competenze specifiche, che non devono essere soltanto relative alle tecniche della didattica, ma anche alla capacità di comprensione, di ascolto e di attenzione nei confronti dei singoli bambini, dei gruppi classe, dei genitori, degli insegnanti .
Certo, per partecipare al concorso è necessario avere svolto almeno cinque anni di insegnamento. Si presuppone quindi che i futuri Dirigenti sappiano orientarsi all’interno degli ambiti della formazione e della pedagogia.
Ma questa resta, appunto, una supposizione, dal momento che il Miur non ha voluto ottenere conferma di queste competenze, per lo meno in questa fase pre selettiva.
Altre sono le domande che il Ministero dell’Istruzione ha ritenuto invece fondamentali per valutare le competenze di un futuro Dirigente Scolastico.
Tra queste, riportate sul sito Tuttoscuola.com, alcune sembrano particolarmente rivelatorie del concetto di autonomia scolastica in Italia.
Spulciando le domande del test, si può dedurre che il Dirigente scolastico, per lo Stato Italiano, svolga un ruolo amministrativo comparabile e quasi sovrapponibile a quello di chi dirige un Municipio, un Ministero, un Tribunale.
Ma la scuola si relaziona quotidianamente con un’utenza specifica che non ha bisogno solo di un coordinatore, ma anche di una guida, che sappia immaginare e facilitare la costruzione del miglior contesto possibile per agevolarne la crescita, la formazione, la relazione educativa e l’apprendimento.
Una scuola che concentra le responsabilità e il potere decisionale sul Dirigente, infatti, non può e non deve sottovalutare l’importanza di selezionare persone che siano capaci non solo di gestire la complicatissima macchina scolastica, ma anche di comprendere i bisogni profondi di bambini, genitori e insegnanti.
Lo scollamento tra la scuola e la popolazione italiana avviene anche, se non soprattutto, qui.
Se i dirigenti (e, di conseguenza, sempre di più, anche gli insegnanti) parlano un’altra lingua, i genitori e gli studenti non capiscono. E si allontanano.
Il concorso per i futuri Dirigenti Scolastici mette quindi in luce una questione sottovalutata da anni: la scuola non è un ente come gli altri.
La scuola è un contesto specifico, con bisogni specifici, con attenzioni necessarie.
Non è un’azienda, non è un tribunale, non è un ministero.
Per dirigerla servono, anche, le competenze necessarie a capirla, nella sua profonda complessità.
Il Miur non può lasciare che sia il caso a decidere se un futuro dirigente abbia o meno le capacità per comprendere i bisogni del contesto che dipenderà dalle sue decisioni.
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