di Giorgio Ragazzini, Il Gruppo di Firenze, 28.6.2017
– Il “Corriere della Sera” ha reso nota ieri la sofferta confessione della zia di un candidato, che non è riuscita a dire di no al nipote in difficoltà e ha svolto per lui il compito di italiano, poi inviato via WhatsApp. L’articolo in cui si parla della vicenda (Copioni digitali contro docenti) merita qualche considerazione. La prima: a leggerne l’incipit, sembra di trovarsi in un paese che prende sul serio la necessità di impedire gli imbrogli, tutelando così il merito. In effetti la consueta nota ministeriale (sempre la stessa da anni) avverte che è assolutamente vietato utilizzare telefoni cellulari e dispositivi di qualsiasi tipo in grado di collegarsi con l’esterno tramite connessioni wireless o reti telefoniche. Per chi violasse queste disposizioni “è prevista, secondo le norme vigenti in materia di pubblici esami, l’esclusione da tutte le prove di esame”. Già nel 2012, però, il Consiglio di Stato aveva avvertito che non poteva considerarsi vincolante tale norma applicata per analogia e che quindi ci voleva “una normativa di rango primario, che esplicitamente preveda la sanzione di cui trattasi”. E così, in base a questa e ad altre considerazioni, aveva annullato l’esclusione di una candidata colta in flagrante copiatura. Domanda: come mai in ben cinque anni il ministero non ha provveduto in questo senso? E questo nonostante le ripetute campagne nostre e dell’Anp perché fosse garantita con ogni mezzo disponibile la correttezza degli esami.
Una seconda considerazione riguarda la totale assenza, nelle comunicazioni ministeriali, di riferimenti a eventuali sanzioni nei confronti dei docenti che, attivamente o chiudendo un occhio, si rendessero complici dei candidati scorretti. Oltre alla nostra esperienza sul campo, abbiamo nel tempo ricevuto, da decine e decine di colleghi indignati, precise testimonianze in proposito. Il fatto è che in molti casi si è smarrita persino la consapevolezza di fare qualcosa di sbagliato. Anche in questi giorni un presidente di commissione, che aveva rimproverato alcuni docenti intenti ad aiutare gli studenti, ci ha riferito lo sbalordimento di chi veniva ripreso, quasi che venisse stigmatizzata una delle opere di misericordia raccomandate dalla Chiesa cattolica.
Un’ultima annotazione. Da due delle dichiarazioni di insegnanti citate in questo articolo, emergono due stereotipi piuttosto diffusi quando si parla della pratica del copiare. La prima è la presunta contrapposizione tra educazione e sanzione, di cui solo la prima sarebbe di competenza della scuola: «Non siamo la polizia, dobbiamo educarli a essere onesti e a fare il proprio dovere, non a giocare a guardia e ladri»; dove l’accenno poco empatico alle forze dell’ordine conferma che siamo in presenza dell’educatore “dialogante” che rifiuta “la repressione”. Il secondo “topos” valorizza invece la bravura di chi elude i controlli: “Noi abbiamo ispezionato i banchi, controllato fogli, zaini, mani. Dopodiché complimenti a chi riesce a ottenere un suggerimento senza farsi beccare. Segno di intelligenza”. Sperando che la stessa “intelligenza” non serva in futuro al furbo esaminando per fregare il prossimo e per eludere i suoi doveri di cittadino. (Giorgio Ragazzini)
Il sociologo Marcello Dei:
copiare, un “peccato” con molti “se” e molti “ma”
A Marcello Dei, autore del volume Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane (Il Mulino), abbiamo chiesto un commento sull’ articolo di cui sopra. Ecco quello che ci ha detto.
Copiare a scuola è un comportamento diffuso, persistente e radicato, che ogni anno raggiunge un picco in occasione degli esami di maturità e che nel corso del tempo mantiene una frequenza stabile, costante. Non ho prove di questa tendenza, ma nemmeno riesco a vedere dei buoni motivi per cui dovrebbe essere falsa. Le istituzioni non hanno mai fatto niente per opporvisi. Hanno sempre fatto finta di niente. Pudicamente. A memoria d’uomo nessuna direttiva ha cercato di scoraggiare l’abitudine di copiare attraverso un’azione educativa, né ha cercato in alcun modo di reprimerla. I media propongono l’argomento ciclicamente, con una cadenza da orologeria centrata sul periodo degli esami di maturità. È un tema di circostanza, di stagione, di intrattenimento, insomma: roba di nessun peso. Nell’immagine comune la copiatura è un peccato, certo, ma un peccato pieno di “se” e intercalato di “ma” e di “bisogna vedere”. Incarna la formula del “vietatino”, una ricetta etica piuttosto diffusa in questo Paese. Dire che copiare è un atto di disonestà è considerato un’esagerazione, una forma di moralismo da bacchettoni. In questa temperie le copiature non aumentano perché hanno raggiunto un punto d’equilibrio ormai storico. Perché mai dovrebbero diminuire? Per una dilatazione spontanea delle virtù civiche? Nella vita pubblica non s’intravedono molti casi di tensione etica. Chi si ricorda delle parole di Berlinguer? Per quante persone una copiatura ben temperata non fa parte, tacitamente, del proprio bagaglio culturale?
.
Copiare agli esami: i silenzi del Ministero e altre considerazioni ultima modifica: 2017-06-28T07:41:37+02:00 da